Intelligenza artificiale e deposito di brevetti
Secondo una recente pronuncia dell’Ente Europeo dei Brevetti (EPO) una macchina non può essere indicata come inventore all’interno di una domanda per brevetto.
L’ente ha respinto due domande di brevetto (EP. 18 275 163; EP 18 275 174), che indicavano come inventore “DABUS”, un’intelligenza artificiale in grado di realizzare in modo autonomo particolari oggetti o procedimenti (nello specifico, si trattava dell’invenzione di contenitore di alimenti dalla forma “mutevole” e di una particolare luce di emergenza a fiamma neurale).
Le due domande erano state proposte dal proprietario dalla macchina e a sua volta inventore assieme al suo team di ricerca, il prof. Stephen Thaler, il quale agiva nella propria veste di inventore (o “datore di lavoro”) della macchina. La normativa europea (art. 81 Convenzione sul Brevetto Europeo) richiede infatti che, nella richiesta di brevetto, sia indicato il nome dell’inventore, e nel caso in cui il richiedente non sia l’inventore, è necessario indicare in che modo si ha ottenuto il diritto sul brevetto oggetto di domanda.
La domanda è stata tuttavia respinta sulla base del fatto che titolare di un brevetto può essere solo una persona fisica, poiché essendo le macchine prive di personalità giuridica non possono essere titolari di diritti. Il richiedente aveva inoltre sollevato l’eccezione per cui se non è possibile indicare una macchina come inventore, allora è impossibile chiederne il brevetto; ma l’EPO ha risposto che l’indicazione dell’inventore è un requisito formale della domanda e che in quanto tale trattasi di requisito la cui valutazione è indipendente dai requisiti di brevettabilità. Di fatto l’EPO ha aggirato il nocciolo della questione, ovvero come comportarsi in caso di proprietà intellettuale che non appartiene ad una persona fisica.
Infatti, questa interessante pronuncia dell’EPO mette in risalto alcuni interrogativi che sono stati finora prerogativa della narrazione fantascientifica, dai romanzi di Asimov, passando per Blade Runner, fino alla recente serie tv Westworld: le macchine possono godere di diritti? Il progresso tecnologico ci sta rapidamente portando ad un punto in cui le macchine saranno in grado di replicare l’uomo non solo fisicamente (si pensi alle incredibili capacità motorie dei robot sviluppati da Boston Dynamics) ma anche intellettivamente, in modo da interagire in modo totalmente autonomo con il mondo. Un punto che ci costringerà ad interrogarci su come comportarci con esse.
Oltre alle numerose implicazioni etiche, la questione è particolarmente importante per il diritto. Prendiamo ad esempio le diverse automobili a guida autonoma, sviluppate da Tesla e altre industrie automobilistiche, la cui IA è in grado di prendere decisioni autonomamente in caso di pericolo: come si comporta il diritto in questa situazione? In capo a chi ricade la responsabilità di un incidente se l’evento è stato determinato totalmente da una scelta autonoma della macchina? Al conducente, o al produttore, oppure al programmatore della macchina?
Il caso di specie in particolare ha senz’altro il merito di sollevare questa importante questione, che dovrà essere senz’altro affrontata in futuro. È forse troppo presto per concedere personalità giuridica alle macchine, ma potrebbe essere il momento giusto per ragionare sul futuro e iniziare a porre delle basi per un ragionamento approfondito. Non a caso, su impulso del Comitato per il futuro della scienza e della tecnologia (STOA), il Parlamento Europeo si è già mosso in questo senso, approvando nel 2017 una risoluzione (2015/2013(INL)) con delle raccomandazioni rivolte alla Commissione Europea, in tema di norme di diritto civile e robotica.
La risoluzione affronta diversi aspetti in cui possono essere utilizzate le macchine intelligenti, tra cui il trasporto di persone, gli assistenti personali, l’ambito medico-sanitario e il lavoro, e riconosciute le possibili implicazioni etiche e legali connesse all’utilizzo delle IA, afferma un principio importante alla base del rapporto uomo-macchina: è ritenuto “fondamentale […] garantire che gli uomini mantengano in qualsiasi momento il controllo sulle macchine intelligenti”.
La formulazione di questo principio chiude la porta ad una qualsiasi forma di riconoscimento di diritti in capo alle macchine; la pronuncia dell’EPO in questo senso è coerente, poiché in questo caso, più che la macchina dovrebbe essere considerato inventore lo sviluppatore, o il programmatore o l’utilizzatore della stessa, come stabilito anche nella Conferenza EPO del 2018.
In seguito a questa risoluzione, è previsto per il 2020 che la Commissione presenti una proposta di legge in tema di intelligenza artificiale, soprattutto nell’ottica di tutela delle persone contro potenziali danni derivanti dall’azione delle macchine autonome. In questo caso però il focus è dato totalmente dal punto di vista umano, orientato sulle proposte per la regolamentazione delle responsabilità di tali macchine, mentre il caso in esame riguarda la titolarità di un diritto.
In un futuro probabilmente non così lontano è tuttavia probabile che i legislatori saranno chiamati ad affrontare la questione dei diritti delle macchine, dal punto di vista delle macchine. Il numero di invenzioni attribuite a delle IA è infatti già in aumento, ed è destinato ad incrementare considerandone il progressivo utilizzo; si pensi a tutti gli algoritmi il cui funzionamento finisce con l’essere completamente slegato dall’input dato dallo sviluppatore, e i cui risultati non sono quindi attribuibili ad esso.
Le perplessità sono ovviamente condivisibili e di facile intuizione: si tratta infatti di riconoscere ad una macchina una prerogativa unica della specie umana, ossia la capacità di pensiero autonomo. Se la macchina o l’algoritmo è programmato come risposta ad una specifica necessità, l’inventore “formale” della risposta sarà la macchina, il quale ha elaborato una determinata richiesta, ma l’autore del processo mentale di ricerca di risoluzione di quel determinato problema rimane il programmatore/sviluppatore; senza l’intervento di questo, l’algoritmo non si sarebbe posto il problema cui trovare la soluzione.
Inoltre, resta la domanda di fondo per cui quale sarebbe l’utilità di concedere ad una macchina questo particolare diritto. Un cambiamento di questo paradigma potrebbe essere interessante in chiave di ulteriore spinta innovativa: la concessione di un brevetto porterebbe ad investire nelle intelligenze inventrici, contribuendo alla loro diffusione e ad un numero sempre maggiore di innovazioni tecnologiche, che a loro volta attirano ulteriori investimenti: praticamente un sistema autoalimentato, a beneficio della vita potenzialmente di ogni individuo.
Per il momento quindi la proprietà intellettuale rimane ad esclusivo appannaggio dell’uomo. Vedremo in futuro quali saranno i cambiamenti, che saranno sicuramente necessari e che cambieranno in modo importante diverse regole del diritto.