Area di Libero Scambio: un nuovo accordo tra UE e Nuova Zelanda
Il 30 giugno 2022, il Presidente della Commissione UE e il Primo Ministro neozelandese hanno annunciato congiuntamente la conclusione positiva dei negoziati per la creazione di una nuova Area di Libero Scambio (ALS) tra l’Unione Europea e la Nuova Zelanda.
Per quanto riguarda la Nuova Zelanda, la liberalizzazione commerciale prevista dal nuovo accordo determinerebbe un forte impatto economico, dal momento che l’UE è attualmente il quarto partner commerciale del Paese.
In particolare, l’eliminazione dei dazi prevista nei settori agricolo e ittico garantirebbe ai produttori neozelandesi un risparmio consistente ed immediato, pari a circa 110 milioni di dollari all’anno.
Nel complesso, si prevede una crescita annuale di 1,8 miliardi di dollari per l’economia neozelandese entro il 2035.
La portata dell’evento ha un’importanza diversa dal punto di vista dell’UE.
Anche se la Nuova Zelanda è solo al 50° posto tra i partner commerciali dell’UE, la conclusione dei negoziati infonde nuova vita alla politica commerciale esterna dell’UE, rafforzando la strategia della Commissione, definita dal motto “commercio per tutti”.
Dopo un paio d’anni di incertezza dovuta all’emergenza sanitaria della pandemia COVID-19 e, più recentemente, all’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, la conclusione dei negoziati con la Nuova Zelanda porterà auspicabilmente l’UE a una nuova stagione di relazioni commerciali con gli Stati terzi.
A questo proposito, i prossimi passi saranno forse la conclusione dei negoziati avviati nel 2018 con l’Australia e la definizione dell’accordo con il Mercosur, attualmente concordato solo in linea di principio.
Le conseguenze dell’accordo in tema di sviluppo sostenibile
In termini di sviluppo sostenibile, il testo provvisorio dell’accordo commerciale tra UE e Nuova Zelanda è ora in attesa della sottoscrizione finale.
Nonostante le piccole modifiche che il testo potrebbe subire nella fase attuale, si nota chiaramente un approccio innovativo in termini di commercio e sviluppo sostenibile che merita un’analisi più approfondita.
Non a caso, il Commissario per il Commercio europeo, Valdis Dombrovskis, ha dichiarato che il nuovo accordo di libero scambio “contiene gli impegni più ambiziosi in materia di sostenibilità in qualsiasi accordo commerciale”.
Secondo il capitolo 19 – intitolato “Commercio e sviluppo sostenibile” (TSD) – le parti si impegnano a proteggere e promuovere sia gli interessi dei lavoratori che quelli dell’ambiente.
In particolare, per quanto riguarda il primo obiettivo, le parti concordano di osservare gli standard fondamentali del lavoro, di impegnarsi a ratificare le convenzioni fondamentali dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) e di astenersi dal rinunciare o derogare agli statuti nazionali del lavoro al fine di incoraggiare il commercio e gli investimenti.
Per quanto riguarda quest’ultimo obiettivo, si richiede l’attuazione effettiva degli accordi ambientali multilaterali già ratificati, con particolare riguardo alle questioni sensibili, come il controllo del cambiamento climatico e la protezione della biodiversità. Inoltre, le parti coopereranno nell’uso sostenibile delle risorse naturali e nella conservazione delle foreste e degli ecosistemi marini.
Certamente, l’esito dei negoziati tra l’UE e la Nuova Zelanda segna un significativo cambio di paradigma nell’approccio dell’UE all’applicazione dei capitoli della TSD (Trade and Sustainable Development).
A questo proposito, è degno di nota il fatto che la Commissione europea abbia abbracciato il tradizionale sistema collaborativo nella prima versione della bozza dell’accordo, elaborata al momento dell’avvio dei negoziati nel 2018, per poi abbandonarlo a favore di un meccanismo di applicazione più efficace, sostenuto anche dalla Nuova Zelanda.
Inoltre, tale cambiamento di paradigma è stato apertamente confermato dalla Commissione con la Comunicazione del 22 giugno 2022, che elabora sei priorità politiche per “una crescita economica verde e giusta”.
Tra queste, la Commissione propone di “allineare ulteriormente l’applicazione della direttiva TSD con la risoluzione generale delle controversie tra Stati”, congiuntamente alla “possibilità di applicare sanzioni commerciali come ultima risorsa, in caso di gravi violazioni degli impegni fondamentali della direttiva TSD”.
Le possibili motivazioni del cambiamento di paradigma
Diverse circostanze possono aver contribuito a questo cambiamento.
In primo luogo, il tradizionale approccio collaborativo è sempre stato oggetto di forti critiche a livello politico, accademico e civile.
Ed ecco alcuni esempi.
Nel caso del procedimento UE-Corea del Sud, sebbene si sia rivelato un successo e la Corea del Sud abbia debitamente e prontamente osservato la relazione finale del gruppo di esperti, ratificando, in seguito, tre convenzioni fondamentali dell’OIL e riformando il diritto del lavoro nazionale, i seri dubbi sull’efficacia dei sistemi collaborativi sono ancora presenti tra i membri della società civile e sono stati raccolti dalla Commissione attraverso una consultazione pubblica aperta nel 2021.
In secondo luogo, l’atteggiamento degli Stati Uniti in termini di applicazione degli impegni commerciali sostenibili ha forse influenzato la politica commerciale dell’UE. A partire dall’Accordo di promozione commerciale del Perù del 2009, infatti, le procedure arbitrali ordinarie si applicano a tutte le controversie derivanti dalla violazione degli obblighi in materia di lavoro e ambiente contenuti negli accordi commerciali statunitensi.
L’USMCA (United States – Mexico – Canada Agreement), che ha sostituito il NAFTA dal 1° luglio 2020, ha infine confermato l’utilizzo di un meccanismo di applicazione uniforme.
Infine, il cambiamento di prospettiva per quanto riguarda l’applicazione dei capitoli delle TSD deve essere letto in relazione all’ampia gamma di iniziative che l’UE, negli ultimi anni, ha sviluppato autonomamente a sostegno degli interessi sociali e ambientali. Solo per citare alcuni esempi, l’obiettivo del Green Deal europeo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 è stato reso vincolante per gli Stati membri dell’UE nel 2021.
Allo stesso tempo, è stato fissato un obiettivo intermedio e ambizioso di riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030.
Per quanto riguarda la dimensione esterna, nel marzo 2022 il Consiglio ha approvato il Meccanismo di aggiustamento delle frontiere per il carbonio, che mira a combattere la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio e a spingere gli Stati terzi verso una politica di riduzione delle emissioni più efficace.
Infine, una novità da prendere in considerazione in termini di obblighi dei soggetti privati sarà introdotta da una nuova direttiva sulla responsabilità sociale delle imprese (CSR, Corporate Social Responsibility), attualmente in discussione.
Conclusioni
Indubbiamente, la nuova strategia di applicazione dei capitoli della TSD avvicina l’UE a un’attuazione efficace dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.
Si spera che questo nuovo percorso, indirizzato verso una più efficace attuazione dei valori dello sviluppo sostenibile, venga seguito con coerenza dall’UE anche nei futuri negoziati con gli altri principali partner commerciali.
La Commissione sembra finalmente seriamente intenzionata ad andare in questa direzione, a giudicare dalla comunicazione del giugno 2022 già citata.
Tuttavia, il risultato finale è tutt’altro che scontato.
Se da un lato la Nuova Zelanda ha dimostrato di condividere la sensibilità dell’ Unione Europea sugli imperativi dello sviluppo sostenibile, non si può dare per scontata la stessa cosa per gli altri partner commerciali dell’UE.
A questo proposito, c’è da aspettarsi che probabilmente sorgeranno alcune sfide nell’ambito dei negoziati con l’India e l’Indonesia, alla luce delle loro politiche nazionali sui diritti del lavoro e dell’ambiente.