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proprietà intellettuale in contesti di emergenza

Proprietà Intellettuale e salute pubblica in contesti di emergenza

La struttura di una proprietà intellettuale globale, così come inclusa all’interno dell’ accordo TRIPS stipulato dall’ Oms in materia degli aspetti commerciali connessi ai diritti di proprietà intellettuale, è – in parte- scaturigine della mancanza di vaccini antiCovid 19, kit medici, farmaci e strumentazione diagnostica.

Nonostante un equo accesso al vaccino sia stato realizzato negli interessi morali, politici ed economici della popolazione mondiale e richieda solidarietà globale, il fenomeno del c.d. “nazionalismo vaccinale” ha fatto emergere lo sfalsamento degli incentivi legali e finanziari allo scopo di produrre e distribuire equamente il vaccino.

In considerazione della sfida di strettissima attualità caratterizzata dalla diffusione della pandemia da Sars-Covid-2, altrimenti nota come pandemia da Covid-19, la crisi pandemica attuale ci ha attualmente dimostrato come gli Stati aventi il maggiore introito economico (in inglesi detti High-Income Countries) non siano stati in grado di mantenere le promesse da loro stessi formulati ai tempi delle negoziazioni in materia di diritti di proprietà intellettuale (di cui TRIPS è acronimo inglese) nel 1994.

Questo accordo avrebbe finalmente assicurato equità, formale e sostanziale, anche ai paesi dei paesi meno sviluppati  socio-economicamente a livello mondiale.

La ratio profonda dell’accordo constava della necessità allora emersa di garantire cure mediche anche gli stati sotto-sviluppati, in particolar modo gli stati africani, allo scopo che essi col tempo potessero assicurare ed implementare in senso sostanziale la protezione di inviolabili diritti quali il diritto alla vita ed il  diritto alla salute.

I termini dell’accordo prevedevano che le nazioni sottosviluppate o in via di sviluppo (in inglese LMIC, Lower- Middle Income Countries) avrebbero ricevuto un beneficio diretto dal trasferimento tecnologico e dalla possibilità di implementare una più efficace capacità produttiva.

L’aspetto su cui basare le nostre considerazioni attiene non solamente alle inadeguatezze in merito come affrontare le impellenti emergenze globali, ma anche analizzare a fondo le mancanze direttamente ed indirettamente connesse alla “affaristica brevettuale”.

Lo scopo principe di questo articolo riguarda le questioni legali più strettamente attinenti la “deroga ai diritti di proprietà intellettuale”, proposta avanzata da India e Sud Africa nell’ottobre del 2020, che a maggio 2021 ha incassato incondizionato appoggio da più di 60 stati, e che ha ricevuto numerosi endorsement da parte della WHO (acronimo  inglese per World Health Organization, da qui in avanti chiamata con l’acronimo italiano OMS).

Verranno analizzati i differenti diritti di proprietà intellettuale relativi alla proposta, con focalizzazione principalmente incentrata sulla questione giuridica inerenti i diritti brevettuali ed i segreti commerciali, con quest’ultimi che assumono sempre maggiore rilevanza nel contesto attuale inerente la lotta alla pandemia, argomentando in concreto perché le attuali deroghe in materia di TRIPS non siano sufficienti nell’attuale contesto pandemico, nei termini formali e sostanziali.

In tal senso la situazione attuale ha costituito indirettamente un vantaggio per le case farmaceutiche, in quanto esse hanno ragionato in senso meramente capitalistico ponendo il profitto davanti a qualsiasi altra considerazione di natura sociale e politica, e soprattutto imponendo prezzi molto più alti per i cosiddetti paesi in via di sviluppo che per le nazioni aventi un’economia particolarmente florida (detti anche HIC, high income countries).

Considerando la perdurante assenza da parte delle più importanti case farmaceutiche inerenti la predisposizione di meccanismi globali utili a condividere diritti di proprietà intellettuali, dati e know-how allo scopo di capire a fondo i rischi e le problematicità direttamente ed indirettamente connesse alla pandemia, si ritiene che dei meccanismi ponenti in essere delle obbligazioni a trasferire i diritti siano necessari.

Oltre a questo profilo un altro aspetto da tenere in considerazione attiene a come poter concretamente provvedere alla realizzazione del siero vaccinale in loco: per via delle restrizioni dovute dalla pandemia, occorre che gli stati a livello organizzativo si coordinino in maniera nettamente più efficace per assicurare, da un punto di vista finanziario ed amministrativo, relativamente alla rapidità delle procedure, la costruzione di un edificio idonea a rendere il vaccino immediatamente fruibile alle popolazioni in stato di necessità.

Deroga alla proprietà intellettuale: cos’è e perché è fondamentale

La deroga in materia di diritti di proprietà intellettuale è uno strumento legale essenziale nel contesto di una perdurante emergenza sanitaria allo scopo di favorire il più possibile un sostanziale ed efficace upgrade produttivo, e conseguentemente la fornitura, di vaccini anti-Covid 19; il ragionamento non va poi svolto in senso meramente restrittivo al contesto attuale, ma deve essere un trampolino di lancio che permetta in un futuro non troppo lontano di garantire l’accesso alle cure su scala globale.

Allo scopo di argomentare compiutamente sul punto, occorre definire l’utilità dei TRIPS sotto un duplice profilo: in primis come una misura legale volta a garantire che diversi Big Pharma possano produrre un vaccino Anti-Covid senza calpestare i diritti di un altro soggetto giuridico detentore di IP, in secundis questa clausola permetterebbe di riequilibrare le diseguaglianze tuttora esistenti tra attori su larga scala e paesi sottosviluppati, consentendo a quest’ultimi di acquistare sufficienti quantità di vaccino per immunizzare una fetta di popolazione.

Ma prima di entrare nel dettaglio inerente la deroga dei diritti in materia di proprietà intellettuale, che approfondiremo a breve, occorre analizzare in dettaglio due esistenti e rilevanti iniziative intraprese dall’Oms in contrasto alla pandemia, C-TAP (acronimo per Covid Technology Access Pool) e Covax, ciascuna di queste caratterizzata da differenti approcci e considerazioni in riferimento al ruolo della proprietà intellettuale e condivisione di informazioni inerenti il bagaglio medico e scientifico nella lotta contro il Covid-19.

L’iniziativa C-TAP dell’OMS contro la pandemia

Lo schema C-Tap presenta il suo paradigma di maggior valore nella richiesta del Costa Rica di proporre un team di volontari in materia di proprietà intellettuale, dati epidemiologici nel Marzo 2020.  L’Oms assieme al governo costaricense ha successivamente provveduto a lanciare C-Tap nel maggio 2020 come un meccanismo coordinato a livello internazionale di condivisione volontaria in materia di proprietà intellettuale, dati e know-how tecnologico.

Lo schema C-TAP è fondato sullo schema di concessione brevettuale fornito dalle Nazioni Unite avente lo scopo di garantire un accesso globale agli strumenti di prevenzione e cura in materia di Hiv; ciònonostante le case farmaceutiche hanno largamente ignorato C-TAP in fase di produzione di vaccini.

Lo schema Covax

L’altro schema elaborato dall’Oms è lo schema Covax lanciato dall’Oms nell’aprile 2020 ma che opera con uno schema basato sul sistema di finanziamento misto pubblico-privato, con supporto economico in concreto da parte dell’Onu e della Fondazione Gates; la finalità ultima del progetto consente agli stati di unire le proprie forze politiche ed economiche allo scopo di acquistare il maggior numero possibili di dosi vaccinali. Sebbene vi siano alcune problematiche inerenti le questioni logistiche ed organizzative, il progetto COVAX ha avuto successo nel far arrivare vaccini ai paesi in via di sviluppo.

Ragionando da un punto di vista ottimistico il progetto COVAX potrebbe portare alla distribuzione di quasi 2 miliardi di dosi di vaccino a 92 nazioni sottosviluppate entro la fine del 2021: sebbene questo rappresenti un grosso passo in avanti esso sarebbe comunque insufficiente a limitare i rischi di nuove varianti e vorrebbe coincidere con un prolungamento della durata della pandemia.

Questo sistema a tutt’oggi è inefficiente, insufficienti sono le quantità di vaccini consegnate, non riuscendo a raggiungere il target prefissato a causa tanto del nazionalismo dominante nelle nazioni più sviluppate dal punto di vista economico, quanto per la assoluta scarsità di vaccini presenti su scala globale.

I risvolti si sono visti in India in quanto il governo a seguito della situazione pandemica ha impedito al Serum Institute, la principale azienda produttrice di vaccini, di distribuire le dosi prodotte per proteggere la pubblica salute in India e far sì che tutti potessero ricevere una dose.

In tal senso sono state significative le dichiarazioni rilasciate dal Direttore Generale OMS Tedros Ghebreyesus relativamente al progetto COVAX, secondo cui nonostante l’Unione di stati ed organizzazioni sia materialmente pronta, esse non lo possono fare perché non hanno sufficienti dosi di vaccino da distribuire.

Come si è visto, accordi bilaterali, divieti di esportazione, nazionalismo vaccinale hanno provocato distorsioni sul mercato, con marcate in fatto di domanda ed offerta. Mentre gli schemi come Covax hanno un ruolo di fondamentale importanza per incontrare necessità a breve termine, uno schema distributivo basato sulla filantropia e sulla carità non costituirà soluzioni a medio e lungo termine.

La strategia COVAX non identifica le capacità produttive o innovative nelle nazioni che incentrano la loro economia essenzialmente su di esse, come pure la cosiddetta diplomazia del vaccino può essere sufficiente ad assicurare un equo accesso alla campagna di immunizzazione. Nel caso dell’India il gigante asiatico ha usato la strategia vaccinale per una finalità meramente geopolitica fornendo quasi 65 milioni di dosi a ben 85 nazioni, ma certamente insufficiente per arrivare allo scopo prefissato.

Un’ipotesi che potrebbe nettamente contribuire a migliorare la situazione globale attiene al fatto che si possa procedere a sottoscrivere accordi volontari tra stati, case farmaceutiche e istituzioni internazionali quali l’OMS ed il WTO allo scopo di favorire la trasmissione di know how tecnologico, proprietà intellettuale del vaccino e trasferire la tecnologia che consenta un volume produttivo nettamente maggiore di vaccini Anti-Covid 19 nel mondo.

In questo senso il team di epidemiologi indipendenti nominati dall’Oms in materia di risposta e contrasto alla pandemia hanno espressamente raccomandato come l’Oms ed il WTO convochino i rappresentanti Onu dei paesi che attualmente producono e realizzano il vaccino allo scopo di raggiungere un accordo inerente il trasferimento di tecnologia e la concessione di licenza produttiva.

Il team di esperti ritiene che, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo entro tre mesi dall’inizio di negoziazione, si debba applicare la deroga rispetto al segreto brevettuale in modo da consentire a tutte le aziende farmaceutiche, anche quelle non proprietarie di produrre il vaccino e realizzare il presupposto di eguaglianza sociale inserito all’interno dei TRIPS del 1994.

Analizzando il ragionamento da un punto di vista strettamente medico-scientifico esso presenta assoluta fondatezza: nel caso in cui si dovesse riuscire a realizzare il vaccino ed a permettere l’approvvigionamento anche nelle zone in via di sviluppo o maggiormente povere (es. Corno d’Africa) questo impedirebbe la possibilità che il virus possa mutare ed evolversi in ulteriori varianti che successivamente, a seguito del fenomeno migratorio, possano poi diffondersi nel continente europeo.

In secondo luogo l’eguaglianza sociale assume particolare importanza nel contesto medico del continente africano, caratterizzato da una serie di patologie letali quali Aids, ebola e malaria, e da un’aspettativa molto più bassa rispetto all’Europa ed al Nord America. Grazie ad una fornitura il più rapida ed immediata possibile si permetterebbe ai medici locali di poter intervenire in un contesto sanitario più salutare e poter curare i soggetti malati senza dover correre il rischio di contrarre il Covid essi stessi.

Nella formulazione di queste argomentazioni, è bene tenere a mente che una deroga agli accordi in materia di proprietà intellettuali non debba essere considerata di per sé come la panacea di tutti i mali per risolvere l’equità vaccinale ma assumerebbe comunque una forte importanza allo scopo di facilitare l’accesso al vaccino Covid in tutto il mondo.

Infatti solo ragionando in senso difforme rispetto a quanto fatto finora si può sperare di arrivare ad un’immunità di gregge su scala mondiale, anche in considerazione del fatto che il dibattito giurisprudenziale e medico in materia di deroga ai principi di proprietà intellettuale permetta di riequilibrare lo squilibrio sociale tra nazioni.

La deroga in materia di proprietà intellettuale definisce i differenti strati di diritti di proprietà che spesso proteggono l’innovazione e che operano come asset nell’economia globale. In questo caso si segue lo schema “a matrioska”, per cui il cuore di un’invenzione è sempre racchiuso da differenti strati di diritti di proprietà, ciascuno dei quali possiede un differente razionale, scopo e soggetto.

I due diritti di proprietà intellettuale fondamentali in questi casi

Occorre concentrarsi su due diritti di proprietà intellettuale chiave per i presenti scopi: brevetti e segreti commerciali (intesi nella loro definizione complessiva includente know-how, dati scientifici ed altre informazioni).

Il brevetto è di fatti un monopolio su un’invenzione riconosciuta ad un inventore da parte di uno o più uffici brevettuali, con specifica documentazione pubblica e che è protetta dagli accordi sui segreti in materia di proprietà intellettuale (i cosiddetti “TRIPS”) per vent’anni.

Un trade secret, che stando alla definizione data nei TRIPS asserisce ad informazioni riservate e che potrebbe includere il know-how, è un altro monopolio chiave: tali segreti sono infatti protetti perpetuamente, genericamente come accordi contenenti un’obbligazione a non rivelare informazioni (nel mondo anglosassone detti NDA), fermo restando che tali informazioni sono protette per quanto esse possano restare segrete, tacite, informali o non codificate.

Perché ci sia una corretta trasmissione informativa, occorre infatti che non vi sia solamente una deroga al brevetto vaccinale da Covid-19, ma anche che vengano previsti dei meccanismi a mezzo dei quali i segreti commerciali inerenti il know-how realizzativo del vaccino possano essere condivisi tramite il trasferimento di tecnologia e la rivelazione di dati scientifici certi.

Se un’invenzione è difettosa in fatto di protezione brevettuale, allora potrebbe essere agevolmente riprodotta dai concorrenti, al contrario se un’invenzione è di difficile replica, allora potrebbe avere maggior senso da un punto di vista della strategia commerciale di detenere quell’informazione come segreto commerciale e potenzialmente ricavare una protezione più lunga rispetto ai vent’anni del brevetto.

Quando delle case farmaceutiche producono ed immettono sul mercato un prodotto, esse fanno affidamento sul fatto che nessuno possa facilmente “leggere” o compiere un processo di ingegneria inversa. Un’inadeguata informazione inerente i brevetti, combinata con addizionali segreti commerciali e know-how tacito, può complicare la faccenda in quanto il giudice internazionale avrà difficoltà a comprendere se vi sia stato o meno illegittima condivisione informativa.

E qui emerge un problema di carattere rilevante, in quanto si ha una sovrapposizione di vari diritti di proprietà intellettuale con livelli differenti di rivelazione informativa, quando i segreti commerciali impediscono la condivisione di know-how e trasferimento tecnologico necessario alla realizzazione di un vaccino Covid. Dove si ha un’immediata e straordinaria necessità legata alla salute per i vaccini di risolvere la crisi globale, gli ordinari modelli di facilitazione dell’informazione all’interno dei sistemi di proprietà intellettuale non sono abbastanza.

intellectual property e sanità pubblica

Un esempio evidente ci è stato recentemente fornito dall’azienda Moderna, che ha dichiarato come nel 2020 non avrebbe messo in campo i propri brevetti in materia di vaccino Covid, questa decisione adottata da Moderna non ha riguardato tutti i diritti in materia di proprietà intellettuale, come i segreti commerciali o inerenti il know-how, ed ha escluso il trasferimento di tecnologia. Infatti l’azienda nordamericana ha recentemente dichiarato che senza questo consistente transfer tecnologico, altre aziende aventi ambizione di realizzare il loro vaccino avrebbero avuto significative difficoltà.

Questo problema, sebbene esploso definitivamente con la pandemia, era stato esposto nel 2016 da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite in un report in cui esponeva come i paesi sottosviluppati avrebbero maggiormente subìto le ripercussioni derivanti dai conflitti normativi tra le regole afferenti la proprietà intellettuale a vantaggio di poche potenti nazioni ed il diritto alla salute proprio di tutti.

Un esempio abbastanza indicativo ci è stato recentemente fornito dallo Stato di Israele che in virtù della sua grande forza economica ha acquistato dosi di vaccino Pfizer Biontech tali da raggiungere l’immunità di gregge in tempi rapidissimi, in contrasto con la situazione disperata di alcuni paesi sudamericani, Ecuador e Bolivia su tutti, in cui la popolazione riceverà la possibilità di potersi vaccinare solo nel 2023.

In questo caso, occorre notare come la discriminazione si sia basata esclusivamente sulla disponibilità economica dello stato ebraico nettamente superiore a quella dei paesi centro-sud americani, con l’offerta talmente remunerativa da permettere a Gerusalemme di acquistare il quantitativo di siero sufficiente per inoculare la terza dose a tutti i suoi abitanti ancora prima che essa venisse realizzata.

Alcuni dei più grandi Big Pharma produttori di vaccino anti-Covid 19, tra cui Pfizer-Biontech ed Astrazeneca, hanno cooperato con aziende basate in paesi in via di sviluppo, quali India e Brasile mediante accordi consistenti nel cedere la proprietà intellettuale del vaccino e quindi velocizzare il processo di immunizzazione mondiale, ma si trattano pur sempre di processi mossi su base volontaria e non perché disciplinati all’interno di un accordo internazionale ratificati col placet delle maggiori branchie ONU.

Questa considerazione assume maggior rilievo, a prescindere dal fallimento morale da parte di Stati e Nazioni Unite nell’assicurare equità globale, da un punto di vista medico, dato che vi è urgente necessità di garantire accesso globale al vaccino in modo da poter tenere sotto controllo l’andamento epidemiologico; sebbene la letteratura medica non è concorde nell’affermare una riduzione dell’efficacia vaccinale contestuale al sorgere di nuove varianti, è opinione condivisa che le case farmaceutiche possano vedersi costrette a moltiplicare i propri sforzi per realizzare un vaccino che possa essere efficace anche contro varianti del virus più contagiose (ad esempio le varianti Delta ed Omicron).

Pertanto si evince, anche in considerazione della trasmissibilità della malattia, come la mancanza di vaccino in un singolo paese sia la ragione principale del worldwide pandemic spreading nonché la principale minaccia alla capacità degli stati di mantenere sotto controllo l’epidemia.

Una responsabilità che poi gli stati devono imparare ad assumersi attiene poi al cosiddetto “nazionalismo vaccinale”, con particolare riferimento all’esportazione di dosi in eccesso verso paesi non aventi un numero di dosi sufficienti per coprire la fetta di popolazione, tesi avvalorata dal fatto che in alcuni stati molto potenti dal punto di vista economico, tra cui gli USA, le autorità hanno bloccato le dosi in eccesso prima che esse potessero essere spedite verso stati in situazione di assoluta necessità.

Nel contesto attuale occorre poi considerare anche il ruolo svolto dal brevetto, in quanto esso attesta un monopolio legale nell’uso dell’invenzione o scoperta scientifica per 20 anni, ma comporta anche un obbligo restrittivo nei confronti delle case farmaceutiche concorrenti che si vedranno impossibilitate a poter sperimentare e arrivare a delle conclusioni aventi rilevanza scientifica sull’efficacia di un vaccino.

Questo pertanto comporta che il processo all’immunità di gregge su scala mondiale possa essere troppo facilmente esposto a fattori di rischio quali la jeopardisation dei fornitori, elementi in grado di rallentare il processo produttivo del siero e quindi un graduale ritorno alla normalità mediante la raggiunta immunità di gregge su scala mondiale.

Quali possono essere i veri fattori di diseguaglianza tra stati europei e stati più poveri?

Analizzando la questione stando alle logiche di mercato, le iniquità emergenti in materia di produzione e distribuzione del vaccino sono intrinsecamente correlate al prezzo ed al conseguente profitto. Il presente sistema in materia di proprietà intellettuale consente alle aziende di monopolizzare il prezzo, con inevitabili drawbacks sugli enti produttori di vaccino per conto della casa farmaceutica titolare, in quanto questa strategia non si dimostra essere particolarmente competitiva secondo le logiche di mercato.

Occorre poi notare come lo scopo lucrativo e gli interessi finanziari della multinazionale produttrice del vaccino siano in fortissimo contrasto con gli interessi  relativi alla necessità di immunizzare il più rapidamente possibile la popolazione mondiale.

Dato che negli stati economicamente e tecnologicamente avanzati il Covid-19 sta declassando da pandemia ed endemia, l’interesse dei Big Pharma sarà chiaramente rivolto a massimizzare il profitto e conseguentemente la produzione di dosi booster rispetto alla necessità di soddisfare i bisogni delle prime dosi per gli stati sottosviluppati, con un’inevitabile ripercussione consistente nel rischio che non vi sia sufficiente materiale per soddisfare le necessità dei paesi più economicamente arretrati.

Pertanto, quale possono essere considerati i veri fattori determinanti una tale sperequazione a carattere sanitario tra gli stati europei e gli stati aventi una ridotta disponibilità economica? In primo luogo un fattore di primaria importanza va considerato il fatto che l’acquisizione di un brevetto di proprietà intellettuale, quale ad esempio lo studio di un vaccino Mrna, determinerà il fatto che quel produttore potrà sfruttare un determinato vantaggio in ambito scientifico per 20 anni e conseguentemente stabilire il prezzo di un dato prodotto sul mercato.

In secondo luogo, e ciò costituisce una diretta conseguenza del primo punto, il produttore metterà a disposizione il risultato del proprio studio scientifico su un mercato che gli potrà permettere di soddisfare il proprio interesse economico a carattere lucrativo, ragion per cui in termini pratici è molto più vantaggioso favorire la terza dose di un cittadino europeo/americano rispetto ad una prima dose di un paese sottosviluppato o in via di sviluppo: l’esempio pratico è stato fornito in tal senso da Astrazeneca, che ha imposto al Sud Africa un prezzo due volte superiore a quello degli stati europei, determinando un allargamento del gap sanitario tra paesi economicamente avanzati e paesi in via di sviluppo.

Analizzando più da vicino la disciplina dei TRIPS nelle varie estrinsecazioni giuridico-economiche, a parte il brevetto avente durata ventennale, il vero punto è verificare che all’interno degli accordi intra case-farmaceutiche rilevi la possibilità di trasferire il know-how manifatturiero ed i dati di rilevante importanza da un punto di vista tecnologico al fine di espletare correttamente la produzione.

Questo articolato insieme si è poi scontrato con la situazione derivante dalla pandemia, caratterizzata da un’informazione nettamente maggiore dei segreti inerenti le strategie commerciali rispetto agli aspetti inerenti la tecnica di produzione e la copertura vaccinale.

Il brevetto nel contesto dell’intellectual property

Come considerare pertanto il brevetto nel contesto dei diritti di proprietà intellettuale? Attualmente il contesto brevettuale presenta tre grosse e preoccupanti lacune:

  1. l’insufficienza dell’apertura informativa in senso costruttivo, ovvero volta a riconoscere efficacia ad un dato brevetto;
  2. il fatto che ci sia un delta temporale molto elevato relativamente alla pubblicazione di nuovi brevetti;
  3. le concrete strategie e la relativa messa in pratica derivanti da brevetti inerenti aree mediche sovrapponibili.

In primo luogo, occorre notare come il sistema attuale delle sperimentazione e conseguente erogazione di brevetti sia articolato secondo un sistema winner takes it all, con l’apertura che viene svolta in fase iniziale di collaudo di un dato farmaco o vaccino, mentre secondo Arti Rai, docente presso la Duke School in North Carolina, qualora l’OMS adottasse uno schema a leva regolamentare si potrebbe valutare se le case farmaceutiche abbiano concesso sufficienti informazioni inerenti la tecnica di produzione e gli effetti del vaccino, e che pertanto si possa ragionare in termini di innovazione e non più solamente in termini di competitività commerciale.

In secondo luogo, gli enti competenti sono obbligati a pubblicare le richieste brevettuali entro 18 mesi dalla richiesta inoltrata e durante questo periodo l’informazione non può essere rilevata al pubblico.

Ne costituisce un esempio sostanziale la richiesta avanzata a Febbraio 2014 dall’Università di Yale inerente lo studi di un vaccino anti-malaria sviluppato assieme alla società Glaxo Smith Kline e pubblicata a Febbraio 2021, in conseguenza di una serie di richieste avanzate da altre società su aree mediche afferenti e successivamente riunite all’interno di una sola autorizzazione.

In terzo luogo, si verifica molto spesso come vi siano richieste di brevetto presentate da parte di differenti case farmaceutiche inerenti la stessa esigenza scientifica, e questo naturalmente crea problemi ai principali competitor farmaceutici che non sanno se il segreto di proprietà intellettuale su un dato vaccino sia ancora coperto o meno, dato che la copertura brevettuale si estende oltre la durata ventennale a favore dell’inventore. In sostanza emergono tre grossi problemi:

  1. insufficiente chiarezza informativa;
  2. mancanza di trasparenza;
  3. la sovrapposizione di diritti inerenti l’utilizzo di tecnologie.

In merito al primo punto occorre notare come la richiesta di brevetto presenti lacune in merito ad una precisa definizione sui requisiti tecnologici idonei a produrre un vaccino o farmaco; in secondo luogo non si riesce ad inquadrare in quale area operino i brevetti ed i relativi limiti rispetto alla validità, precludendo alle aziende competitor del proprietario del brevetto la possibilità di elaborare un prodotto concorrente ed egualmente efficace; in terzo luogo relativamente alla sovrapposizione dei diritti occorre sempre considerare in concreto la possibilità che un’azienda concorrente l’aggiudicataria del brevetto rivendichi la paternità di un’invenzione scientifica, sebbene non sia titolare del brevetto ma solo quale risultato della ricerca.

Nel mondo degli affari i detentori di proprietà intellettuale afferenti la produzione di un vaccino non possono essere obbligati a divulgare i segreti commerciali ed il know-how essenziali per realizzare la manifattura del vaccino ed il processo di distribuzione.

Una dimostrazione a carattere sostanziale che gli obblighi di non-informazione sono tutt’ora in vigore tra Pfizer e Biontech ed i loro fornitori, con il diritto spettante in capo a quest’ultimi di non permettere che le case farmaceutiche partecipino ai bandi indetti dall’OMS concernenti il trasferimento di tecnologia a Mrna, ovvero sia la base di produzione del vaccino; in Malesia la politica è arrivata addirittura a prevalere sul diritto alla vita ed alla salute se si considera che una violazione degli accordi avrebbe potuto portare ad una mancata consegna delle dosi vaccino promesse.

Anche in questo caso occorre notare come la logica adottata da parte delle case farmaceutiche sia in forte contrasto con la finalità principe per cui si sono aggiudicate il brevetto, ovvero sia sconfiggere la pandemia da Covid-19. Lo sharing informativo, per quanto possa comportare guadagni alquanto remunerativi derivanti dalla fornitura di un prodotto, deve essere sempre considerato come uno strumento di collaborazione tra case concorrenti utile a contribuire a salvare vite umane.

E’ bene considerare come nelle undisclosed informations rientrino non solamente gli elementi afferenti alla proprietà intellettuale, ma anche tutti gli elementi relativi all’acquisizione di dati utili allo svolgimento del processo di approvazione ed informazioni relative alla scadenza di brevettazione, come ad esempio nel caso delle relazioni tra Pfizer-Biontech ed i relativi fornitori, a cui è fatto divieto di cedere queste informazioni ad un’azienda concorrente.

Se anche vi fosse stata un’operazione di condivisione del know how comunque vi sarebbero delle difficoltà ad un produttore differente da quello titolato di brevetto in virtù del fatto che i dati biologici non siano stati condivisi; questo ci deve pertanto aiutare a considerare come il brevetto di per sé non debba essere inteso quale condicio sine qua non per velocizzare la produzione, e che il brevetto debba essere inteso come un fattore rientrante all’interno di un pacchetto di proprietà intellettuali in grado di permettere a tutti di realizzare un vaccino in grado di immunizzare il 90% della popolazione mondiale nel giro di tre anni.

In tal senso un’idea innovativa è stata avanzata dall’europarlamentare tedesco Bernd Lange, che ha avanzato dinnanzi alla Commissione UE una proposta consistente in una richiesta avanzata ai Big Pharma di trasferire il know-how della produzione di vaccino Anti-Covid 19 anche ai paesi sottosviluppati, in modo da garantire equità anche ai paesi extraeuropei mediante inoculazione di dosi vaccinali; il ragionamento appare logico anche in considerazione del testo contenuto nell’atto di legislazione interna americana ovvero sia lo US Defense Production Act, la previsione legislativa governante lo scambio di informazioni mediche con paesi stranieri e contenente specifiche indicazioni relative ai dati acquisiti in sede di sperimentazione, ai dati scientifici attestanti l’efficacia del vaccino nonché il brevetto di produzione.

Occorre considerare in senso positivo la raccomandazione arrivata da OMS e WTO in favore della trasmissione dai Big Pharma alle piccole case farmaceutiche dei TRIPS contenenti elementi afferenti l’efficacia vaccinale, la tecnologia impiegata per realizzare il farmaco ed i dati attinenti la produzione come strumento maggiormente efficiente allo scopo di permettere anche ai paesi sottosviluppati di immunizzare le rispettive popolazioni contro il Covid.

L’Intellectual Property ed i suoi effetti in emergenza sanitaria

prodotti sanitari anti covid e proprieta intellettuale

Per cui il quadro della realtà attuale ci mostra come la portata della crisi sanitaria internazionale derivante dalla pandemia di Covid-19 e la questione assai complicata inerente il brevetto vaccinale, occorre rivalutare l’attuale la questione della proprietà intellettuale ed i suoi effetti, che non sono assolutamente all’altezza dello scenario pandemico attuale.

E’ cruciale come le negoziazioni relative alle deroghe in materia di proprietà intellettuale inerenti il segreto brevettuale offrano una soluzione utile a risolvere queste questioni nella sfera politico-economica. Occorre chiedersi fino a quale livello si può pensare razionalmente di conseguire un’apertura informativa e la condivisione di informazioni, e come la deroga rispetto al segreto di proprietà industriale possa agire come motore di una cooperazione in accordi non esclusivi, volontari e progettare su scala mondiale un progetto di cooperazione in materia di condivisione di dati, metodologie di produzione vaccinale.

Stando alle disposizioni del WTO, nel caso in cui sussista una situazione di emergenza nazionale quali appunto una pandemia mondiale, le condizioni poste all’interno dei TRIPS ammettono che vi possa essere la possibilità di negoziare una concessione della proprietà intellettuale del prodotto prima della vera e propria licenza produttiva: a tal proposito occorre notare come sebbene l’Art.31 dell’accordo inerente i TRIPS disciplini i criteri per ottenere una licenza produttiva, gli Stati hanno comunque possibilità di imporre ulteriori condizioni relativamente alle procedure di ottenimento della licenza, che molto spesso comportano tempi lunghi e conseguente ritardo per quanto riguarda la capacità produttiva.

Si ritiene che questa condizione debba essere rivista, perché attualmente la norma non assicura agli stati in via di sviluppo effettiva certezza rispetto al fatto che un’obbligazione vincolante sia soddisfatta nei loro confronti. Un’effettiva revisione degli accordi presi in materia potrebbe essere efficacemente implementata mediante la statuizione di un espresso divieto in capo agli stati membri, una volta raggiunto un dato accordo, di prevedere condizioni limitanti la possibilità di poter implementare il più efficacemente e rapidamente possibile la produzione di siero.

Un problema che occorre poi considerare riguarda il fatto che molto spesso nel passaggio di proprietà intellettuale non vi è un’informazione sufficientemente dettagliata in merito alle caratteristiche del prodotto, al procedimento di realizzazione dello stesso nonché relativamente ai contenuti del brevetto ed alla sua applicazione in senso sostanziale.

La proprietà intellettuale come incentivo all’innovazione

In dottrina e giurisprudenza è sorto un dibattito in merito alla questione dei TRIPS ed alla possibilità di considerare le nozioni di proprietà intellettuale come un incentivo all’innovazione; analizzando questo profilo al contesto attuale pesantemente segnato dalla pandemia di Covid-19, occorre invece notare come la proprietà intellettuale abbia allargato al forbice tra i paesi più avanzati e produttivi da un punto di vista economico ed i paesi sottosviluppati, in conseguenza del fatto che i Big Pharma abbiano ragionato sulla produzione vaccinale senza considerare che questa potesse costituire un asset finanziario di fondamentale importanza.

Questo si evince anche dalla differenza di mercato tra gli stati più avanzati economicamente e quelli sottosviluppati: nei primi si hanno mercati più piccoli, mentre nei paesi sottosviluppati essi sono venduti come beni pubblici a valore ridotto, ed a prezzi non necessariamente convenienti rispetto a farmaci per cui si richiedono costi di trattamento.

Vari studi di natura economica hanno poi dimostrato come le multinazionali non possano accontentare gli interessi di tutte le nazioni, sviluppate e sottosviluppate, in virtù del fatto che non vi sia sufficiente spazio per le nazioni di poter elaborare un proprio progetto per permettere l’approvvigionamento di dosi in numero sufficiente, e questo profilo lo si è visto di recente anche con riguardo ai TRIPS in ambito vaccinale in virtù del fatto che gli stati sottosviluppati non abbiano potuto acquisire sufficienti elementi di proprietà intellettuale e di conoscenza tecnologiche attinenti alla produzione e realizzazione del siero anti-Covid.

Licenze obbligatorie e proprietà intellettuale

Un’argomentazione formulata a contrariis in dottrina e giurisprudenza internazionale formulata in opposizione alla proposta di introdurre una deroga al segreto industriale riguarda il fatto che essa non sia necessaria perché il sistema del WTO già permette una licenza obbligatoria, ed è comunque vero che la licenza obbligatoria offre una potenziale alternativa che permetta a terzi di sfruttare tecnologie coperte da segreti di proprietà intellettuale in assenza di un permesso di titolare di diritti.

Nel contesto di un’emergenza nazionale o di altre circostanze recanti estrema urgenza l’accordo in materia di proprietà intellettuale (TRIPS) definisce come vi debba essere un primo tentativo di negoziazione di licenza volontaria con l’azienda titolare di diritti di proprietà intellettuale prima di rilasciare una licenza obbligatoria.

Il contesto sanitario mondiale scaturente dalla pandemia mondiale da Covid-19 non potrebbe che rientrare nella categoria stato di emergenza, ma la complessa e frammentata disciplina di proprietà intellettuale è una delle principali ragioni per cui l’attuale sistema di licenza obbligatoria disciplinato all’interno degli accordi di Trips non sia sufficientemente adeguato all’attuale stato emergenziale per far fronte alla pandemia.

D’altronde occorre anche considerare che in riferimento al vaccino Covid-19 sono solamente alcuni stati a detenere i TRIPS inerenti alla base Mrna del siero, e che è pur sempre comprensibile che questi non vengano ceduti facilmente.

Nonostante quindi significativi sussidi pubblici i governi non hanno manifestato un interesse ad acquisire la proprietà intellettuale, e questo emerge come uno spunto per il futuro, in quanto dovrebbe essere considerata prerogativa governativa firmare delle clausole contrattuali autorizzanti lo sviluppo di tecnologie biomedicali connesse alle ripercussioni legate al Covid-19.

L’ineguaglianza tra stati sviluppati e sottosviluppati nella distribuzione del vaccino è una questione che non può in nessun modo essere minimizzata per il fatto che non rientra nei diritti di proprietà intellettuale, quando invece è proprio quest’ultima a provocare una grande sperequazione consentendo ai soggetti detentori di diritti di proprietà intellettuale di controllare l’utilizzo delle tecnologie immediatamente connesse alla produzione vaccinale.

Storicamente, in questo ed anche in altri contesti la negoziazione con case farmaceutiche può essere particolarmente impegnativa ed è soggetta ad asimmetria informativa, ma l’accordo siglato dal WTO in materia di TRIPS prevede all’art. 31 come i prodotti realizzati sotto licenza obbligatoria debbano essere usati prevalentemente allo scopo di rifornire il mercato interno, ma a seguito di alcune modifiche legislative introdotte dall’art. 31 bis è possibile che gli stati parte del WTO attuino una politica di importazione ed esportazione anche verso stati maggiormente in difficoltà dal punto di vista della “vax supply”.

Un esempio molto recente lo si è recentemente avuto nel 2007, quando il Rwanda ha ottenuto accesso ai diritti di proprietà intellettuale del vaccino HIV Triavir a seguito di un’avvenuta importazione dalla compagnia canadese Apotex: ed anche nel presente caso occorre comunque notare come sebbene il Rwanda avesse notificato il Consiglio del WTO nel luglio 2007, ha ottenuto le prime scorti anti-HIV nel 2008.

Dal momento in cui gli Usa hanno dichiarato il loro supporto alla deroga nel Maggio 2021, la Bolivia ha redatto una dichiarazione notificata al WTO concernente la necessità di munirsi di scorte di vaccini dal Canada ai sensi dell’art. 31 bis del WTO, contesto che una volta di più lascia intendere una volta di più come la forbice economica tra gli stati sottosviluppati e quelli maggiormente avanzati sia destinata a crescere con il protrarsi della pandemia.

La licenza obbligatoria così come disciplinata all’interno della previsione legislativa in materia di TRIPS ha importanti conseguenze, tra cui in primis la mancanza di informazioni dettagliate riguardo ai brevetti che potrebbero essere applicati al vaccino, informazioni inadeguate riguardo alla preparazione dello stesso, nonché limitate informazioni riguardo ai contenuti delle applicazioni brevettuali che potrebbero risultare rilevanti per una licenza obbligatoria in quanto molte richieste non sono state pubblicate dagli uffici competenti. Il caso della Bolivia ci insegna come una tale mancanza di trasparenza relativamente ai brevetti applicabili in concreto alla situazione siano rilevanti per una licenza obbligatoria.

Il fatto che si faccia affidamento esclusivo sulle licenze obbligatorie disciplinate sotto il quadro normativo degli accordi di proprietà intellettuale, nell’assenza di un’industria che provveda a garantire miglior supporto a previsioni di licenza volontaria, presenta significative limitazioni.

Non bisogna poi considerare la materia di deroga agli accordi WTO in materia di proprietà intellettuale e licenza obbligatoria come status alternativi l’uno rispetto all’altro, prova provata di ciò è il fatto che le leggi di molti stati hanno modificato le leggi per consentire che le licenze obbligatoria in materia di produzione vaccinale venissero usate a livello nazionale se non in scenari più ampi.

Questo aspetto è assai incoraggiante, e questo modello dovrebbe essere adottato da tutte le nazioni su scala mondiale il più rapidamente possibile. Oggi, contrariamente al passato, ci potrebbe essere una maggiore volontà degli Stati di usare le licenze obbligatorie per alcune questioni inerenti la pandemia mondiale perché, le deroghe in materia di proprietà intellettuale hanno spostato il bilanciamento politico in favore dell’uso della licenza obbligatoria.

In questo caso, la licenza obbligatoria potrebbe risultare particolarmente utile nel contesto di terapie, diagnosi ed equipaggiamento medico, in quanto queste materie sono chiaramente più semplici di essere sottoposte ad un processo di ingegneria inversa rispetto ai vaccini.

Le recenti affermazioni avanzate dagli Stati Uniti a supporto della deroga in favore di una deroga ai segreti in materia di proprietà intellettuale è stata accompagnata da un parere favorevole sulla concessione di licenze obbligatorie, in quanto esse permetterebbero un sostanziale miglioramento in termini di misure a salvaguardia della pubblica salute nei paesi in via di sviluppo, ragion per cui i due ambiti non vanno intesi come incompatibili l’uno con l’altro. Una deroga generale in materia di proprietà intellettuale offre benefici nettamente maggiori che il mero utilizzo di licenza obbligatoria.

Il ragionamento recentemente sviluppatosi tra gli esperti di economia secondo cui i brevetti creano positivi incentivi per l’innovazione è universalmente riconosciuta, ma è attualmente molto contestata in ambito accademico.

Il brevetto implicante giustificazione legale al diritto all’utilizzo per conseguire un interesse di pubblica utilità richiede il calcolo di valori difficilmente quantificabili.

Gli economisti Landes e Posner, esperti in materia di proprietà intellettuale, sostenevano che qualora i benefici eccedano i costi è impossibile rispondere in maniera scientificamente provata, opinione condivisa dal Deputato USA James Love che ritiene come non sussista alcuna connessione tra gli incentivi necessari ad indurre investimenti nell’innovazione biomedica ed il costo degli incentivi, tenendo quindi separati i due concetti.

Anche interpretando la retorica della proprietà intellettuale come incentivo all’innovazione si può ritenere che questa teoria abbia poca fondatezza a maggior ragione nel contesto del contesto di straordinaria importanza dovuto al Covid, specialmente se preso in riferimento a brevetti e segreti di natura commerciale sui vaccini.

Ma questa spiegazione trova assoluto fondamento nel fatto che la domanda di vaccino Covid-19 è stata creata in larghissima parte mediante pubblici sussidi, per cui numerosi ordini avanzati dai governi hanno talmente ridotto i rischi inerenti gli sviluppi del vaccino a tal punto che avrebbe molto poco senso privatizzare i frutti di fondi pubblici mediante l’incentivo addizionale di diritti da monopolio privato.

A dispetto di alcune posizioni dottrinali sulla questione, nel contesto die vaccini Covid-19 non vi è una situazione di incentivo/risultato. L’argomentazione in base alla quale delle deroghe temporanee agli accordi in materia di proprietà intellettuale disincentiverà la ricerca e lo sviluppo in altre aree scientifiche e tecnologiche non è convincente.

Le posizioni più favorevoli alla difesa dello status quo nel contesto Covid tendono a sottostimare i rischi derivanti dal perdurare della pandemia per la salute pubblica mondiale e sovrastimano il rischio rispetto al sistema di proprietà intellettuale derivante da una deroga temporanea dovuta in ragione della pandemia.

I brevetti non sono valutati solamente per il potere di monopolizzare i prezzi ma anche come asset strategici e finanziari. Il valore speculativo dei brevetti per mantenere il prezzo ed il monopolio sul mercato contribuisce a giustificare le argomentazioni degli oppositori alla deroga; secondo la loro posizione la deroga non contribuirà a cambiare le cose, ma allo stesso tempo sostengono che esse disincentiveranno le operazioni nel futuro.

Come conseguenza di tutto questo, la disciplina dominante ha portato ad una sistematica incapacità di incontrare i bisogni delle popolazioni di paesi sottosviluppati ed una ridotta produzione di vaccino in detti paesi. In tempi ordinari il mercato dei vaccini nei paesi economicamente avanzati tende ad essere piccolo e congiunto ad altre questioni caratterizzate anch’esse da ridotti finanziamenti, come i farmaci orfani.

I vaccini per i paesi sottosviluppati sono genericamente forniti e consegnati come beni pubblici ad un prezzo low cost, e genericamente non sono più economicamente appetibili rispetto a medicine che richiedono costanti costi di trattamento. Questa situazione la si aveva avuta anche in occasione della Zika e dell’ Ebola, ed a maggior ragione occorre difendere la politica a favore degli incentivi di produzione nei paesi sottosviluppati nel contesto dell’attuale pandemia.

Occorre ragionare sul fatto che in qualità di incentivi in materia di innovazione i diritti di proprietà intellettuale hanno scarsi risultati, in quanto è stato dimostrato dagli studi economici che essi non possono soddisfare differenti interessi pubblici a livello internazionale per il fatto che vi sia insufficiente spazio per le differenti nazioni di adattare il loro design alle necessità locali.

La proiezione economica ci permette di affermare come poi vi sia una ragionevole probabilità che a causa degli accordo in materia di proprietà intellettuale le nazioni in via di sviluppo a lungo qualificate come “importatrici di tecnologia” potrebbero mantenere questa posizione, assicurando che rimangano attori di rilievo marginale sulla scena economica mondiale.

La retorica della massimizzazione di proprietà intellettuale attorno agli accordi TRIPS relativamente alle nazioni esportatrici ed alle corporazioni transnazionali hanno sempre affrontato visioni moralistiche e naturali del diritto di proprietà, che sono dei monopoli storici divenuti diritti socialmente costruiti.

Questi diritti non sono detenuti in forma permanente e garantiti dagli stati allo scopo che i privati vadano incontro a certi incentivi di innovazione; tra il 19 ed il 20 secolo differenti stati economicamente avanzati hanno abolito i diritti del brevetto in modo da costruire un’industria domestica, altri invece hanno optato per una strategia di indebolimento dei diritti di proprietà intellettuale allo scopo di potenziare le proprie risorse e capacità tecnologiche interne.

Guardando con attenzione all’altra faccia del “mercato brevettuale”, si contesta che il bene pubblico che la legge brevettuale in materia transnazionale necessiti di servire, particolarmente in una situazione pandemica, deve essere un bene pubblico mondiale. In materia di prezzo e produzione vaccinale questo aspetto non è stato adeguatamente preso in considerazione e successivamente implementato.

Quanto alla produzione, le protezioni in materia di proprietà intellettuale assieme a differenti approvazioni regolatorie hanno portato ad un oligopolio dominato da poche case farmaceutiche, tra cui Pfizer/Biontech, Astrazeneca, Johnson&Johnson.., che hanno rifiutato la collaborazione di altre casa farmaceutiche come Teva, allo scopo di collaborare tramite l’assistenza brevettuale ed a livello di fornitura nella manifattura produttiva di vaccini.

Non è quindi un elemento di sorpresa che un numero talmente limitato di aziende manifatturiere hanno faticato a soddisfare la primaria necessità di vaccinare la popolazione mondiale.

E’ vero che a dispetto di differenti sussidi pubblici concessi dal governo e l’effettiva riduzione del rischio di prendere il Covid tramite ordini di mercato, i governi non hanno assunto un interesse nella proprietà intellettuale, idealmente delle clausole contrattuali relative ad accordi di finanziamento pubblico erogati allo scopo di migliorare le tecnologie sottese alla realizzazione di un vaccino Covid-19 avrebbe dovuto essere fondato su clausole di utilizzo non esclusivo di una proprietà intellettuale emergente da ricerca e sviluppo.

I diritti di proprietà intellettuale come aspetto politico

proprietà intellettuale vaccini

Le tematiche afferenti le diseguaglianze di prezzo e distribuzione sono questioni di assoluta importanza che non possono essere minimizzate o discostate dall’argomento principale per il fatto che non attengano a leggi sulla proprietà intellettuale.

Al fine di ritrarre la questione della possibilità di acquisire il vaccino come oggetto di scelte private contrattuali equivale ad ignorare selettivamente come il diritto al brevetto comporti un diritto all’esclusività a poter esercitare un prezzo di monopolio in capo al titolare, comportando indirettamente quindi come tali contratti vengano discussi in maniera asimmetrica, in quanto il titolare del brevetto partirà in una posizione di vantaggio economico. Ragionando in senso pragmatico, il nostro scopo chiave deve consistere nell’eliminare questo vantaggio contrattuale a favore del titolare di brevetti.

Non si possono tenere separati i due profili quando ogni giorno che passa viene meno l’equità globale che possa permettere a tutti quanti di vaccinarsi contro il Covid e conseguentemente porre un freno all’emorragia economica e sociale cominciata con l’inizio della pandemia.

E’ pertanto compito urgente degli attori più importanti su scala mondiale porre rimedio alla situazione di ingiustizia sociale considerando la normativa in materia di proprietà intellettuale come elemento integrativo di altre leggi nazionali e sovranazionali in materia farmaceutica allo scopo di porre un calmiere al prezzo dei vaccini, di modo che tutti vi possano accedere e spiegare in maniera trasparente i rischi e benefici connessi all’inoculazione del siero.

La tematica attinente ai TRIPS non afferisce solamente ad una questione di carattere legale, ma si inserisce anche in un contesto a carattere politico, così come è stato evidenziato nei negoziati che hanno portato alla Dichiarazione di Doha del 2001 in materia di politica economica ed equità globale in materia di concessione di diritti di proprietà intellettuale; in tal senso è andata la proposta del Presidente della Banca Mondiale David Malpass di realizzare un’unica Banca Dati Mondiale indicante il prezzo del vaccino e la quantità utile a conseguire un prezzo equo.

Un’altra argomentazione sostenuta in senso contrario alle deroghe in materia di proprietà intellettuale è che non aiuterà ad alleviare la mancanza di vaccini perché ci vorrà molto tempo per costruire impianti in grado di sostenere la produzione nei paesi sottosviluppati quando allo stesso tempo le strutture potrebbero essere vicine al massimo della produzione.

Potrebbero volerci mesi prima che la produzione di vaccini possa cominciare in strutture completamente nuove. In India ad esempio esiste il potenziale per incrementare il potenziale di capacità produttiva, basti pensare che sull’intero territorio nazionale indiano vi siano 21 strutture produttrici di vaccino, a partecipazione mista pubblico-privata, smentendo quindi l’opinione che non le nazioni sottosviluppate non presentino capacità produttiva.

Un’argomentazione che è stata formulata in senso contrario alla diffusione dei TRIPS tanto da giuristi quanto da economisti attiene al fatto che questa supponga un’eccessiva onerosità a carico degli stati nella fase di costruzione e realizzazione di un impianto idoneo a realizzare il vaccino; questa contestazione è in parte fondata sul fatto che nei paesi sottosviluppati occorrerà diverso tempo prima che venga costruito un impianto in grado di produrre vaccino e che vengano superati tutti i collaudi ritenuti idonei per poter avviare la produzione manifatturiera.

Un elemento che assume importanza è il fatto che vi sia stata una produzione vaccinale “mista” tra compagnie di paesi avanzati e paesi in via di sviluppo, e che questa non abbia ricevuto l’autorizzazione ad essere emessa sul mercato; molto spesso erroneamente si accosta l’elemento inerente alla proprietà intellettuale ed ai diritti alla qualità del prodotto, quando l’esperienza nel 2009 ci insegna come l’azienda indiana Shanata Bioethics abbia realizzato un vaccino di straordinaria efficacia contro l’ epatite B, nonostante lo scetticismo riguardante le condizioni della realtà indiana.

Stando all’opinione del CEO di Pfizer-Biontech Albert Bourla la vera sfida globale in materia di realizzazione di farmaci e vaccini non attiene alla capacità produttiva delle singole case, quanto alla scarsità di fornitori sul mercato, fenomeno che inevitabilmente conduce ad un sovrapprezzo rispetto ai singoli materiali produttivi; in tal senso gli Stati hanno disatteso l’obbligazione prevista all’interno dell’Art.66 comma 2 del TRIPS, che poneva in capo ad essi un’obbligazione di provvedere ad incentivi finanziari nei confronti delle compagnie di stati economicamente avanzati che avrebbero condiviso le tecnologie volte a realizzare un singolo prodotto, e non solamente il prodotto stesso.

Un caso pratico da questo punto di vista lo si è visto di recente nell’ambito della produzione vaccini Covid, in quanto un ritardo nella fornitura comporta effetti a cascata sull’effettiva produzione sull’impianto e quindi indirettamente conseguenze da un punto di vista economico, in quanto più lenta sarà la possibilità di immunizzare i lavoratori, maggiori saranno gli effettivi tempi di ripresa del PIL.

Conclusioni

Cosa si impara in concreto da questa lezione? Che occorre riparametrare la produzione di farmaci su scala mondiale e che va assolutamente rivisto il rapporto tra Big Pharma e paesi sottosviluppati, in modo che esso possa essere sviluppato nella direzione dell’equità e che possano avere accesso al know-how ed alla tecnologia utili a produrre un’arma di fondamentale importanza nella lotta alle pandemie mondiali.

La preparazione a livello gestionale della pandemia attiene urgentemente la capacità delle nazioni a limitata capacità di sviluppo a produrre le invenzioni che servono. E’ moralmente problematico invocare delle limitazioni di capacità manifatturiera nelle nazioni a sviluppo limitato al fine di difendere uno status quo che ha servito il pubblico globale in maniera molto scarsa durante le pandemia da Covid-19.

Non solamente una simile generalizzazione dei paesi al di fuori dell’area europea o nord americana sono spesso additate come paesi “in via di sviluppo” sottostimano delle strutture produttive attualmente operative in Brasile, India Cina ma non consente di avere un migliore e più equo sistema brevettuale, e una risposta maggiormente efficace per le prossime pandemie.

Sebbene alcune nazioni al momento non abbiano un requisito tecnologico adeguato per la produzione di vaccino, è nell’interesse di ciascuno sfruttare la pandemia come occasione per trasferire il know how tecnologico ai paesi in via di sviluppo e conseguentemente implementare la produzione di vaccini allo scopo di prevenire scenari pandemici futuri.

Grande rilievo ed importanza assume l’analisi della gestione della pandemia operata dagli attori più importanti a carattere mondiale, caratterizzata dal fatto che siano state con troppa facilità sottovalutate le facilities a disposizione degli stati in via di evoluzione che, adeguatamente informate rispetto ai metodi di produzione ed alle caratteristiche del vaccino, avrebbero potuto agire in qualità di vaccine supplier e garantire la vaccinazione anche delle popolazioni dei cosiddetti stati in via di sviluppo.

Tutto questo anche in considerazione del fatto che sebbene non tutti gli stati abbiano a disposizione strumenti e strutture adeguati alla produzione del vaccino, è nell’interesse di tutte le parti in causa fare in modo che si arrivi ad una condizione di equità nella produzione del vaccino e che quindi si possa presto tornare alla vita normale.

Per fare questo occorre poi considerare come si debbano simultaneamente verificare alcune delle seguenti condizioni:

1) coordinare il meccanismo logistico verso i paesi meno avanzati,

2) creare un hub tecnologico volto a favorire il passaggio della base di realizzazione ad Mrna,

3) incoraggiare le società farmaceutiche più avanzate a condividere in diretta streaming i dati provenienti da dossier di regolamentazione produttiva.

Perché in fondo la vera lezione che ci arriva dalla pandemia è quella di riconoscere come il brevetto non debba essere riconosciuto come il tramite per conseguire un profitto a vantaggio di pochi, bensì un mezzo per arrivare ad uno scopo da tutti condiviso, ovvero sia la pubblica salute, in ragione del fatto che il diritto alla proprietà intellettuale non debba essere considerato quale diritto inviolabile, contrariamente al diritto alla vita.

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