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Sustainable Fashion e Responsabilità del Produttore (EPR)

Sustainable Fashion e Responsabilità del Produttore (EPR)

ComplianceGennaio 22, 2022

Il presente articolo tratta della delicata tematica che funge da trait d’union tra il topic dell’ecosostenibilità ed il settore della moda. In tale industry, quando si parla di fashion a tutto tondo, l’Italia e soprattutto la piazza di Milano, continuano a ricoprire un ruolo di leadership a discapito della forte concorrenza proveniente dai mercati nordamericani e sud est asiatici.

Un particolare cenno va rivolto alla normativa EPR (Extended Producer Responsibility) e pone sostanzialmente in capo ad un imprenditore titolare di un maison di moda un’obbligazione legally binding a provvedere ai costi di gestione della fase finale del ciclo di vita del prodotto, concernenti la fase di operazioni di raccolta differenziata, cernita e trattamento.

Infatti, il settore moda e più in generale quello tessile, si caratterizza per degli elementi critici in tema di sostenibilità; si pensi a titolo esemplificativo alle tecniche di trattamento e colorazione dei tessuti basate ancora oggi sull’utilizzo di sostanze pericolose oltre che sul consumo ingente di risorse idriche.

Pare opportuno evidenziare che nelle ultime due decadi la vendita di capi di abbigliamento è più che raddoppiata e conseguentemente il tasso di riutilizzo si è ridotto considerevolmente.

Il c.d. fenomeno della “fast fashion” è stato ulteriormente accelerato dall’esplosione del e-commerce.

Nel contesto appena descritto (aumento smisurato di rifiuti prodotti e conseguente rilascio di emissioni di gas serra) lo Stato che ha adottato una normativa attenta e rigorosa in materia è la Francia, a seguito dell’adozione di un’apposita legge entrata in vigore già nel gennaio del 2007: all’interno della stessa norma si pone in capo alle aziende un espresso obbligo di dichiarare il volume degli articoli immessi sul mercato l’anno precedente e si impone al produttore il pagamento di un “contributo” ricompreso nella forbice che va da 0,01 centesimi a 2 euro per ogni capo rimasto invenduto.

Il suddetto ricavato viene poi destinato ad organizzazioni ed enti che si occupano per l’appunto del trattamento,recupero e smaltimento secondo i crismi autorizzatori previsti dalla disciplina vigente a livello comunitario.

Nel 2020 la stessa Francia, nel complesso quadro legislativo volto a conseguire la tanto agognata Transizione Ecologica, ha approvato all’unanimità in Senato la cosiddetta “Loi Anti-gaspillage”, una norma che stabilisce (a far data dal 2022) un espresso divieto nei confronti degli imprenditori di distruggere i capi di abbigliamento e relativo obbligo immediatamente connesso allo stesso di donare, riciclare o riutilizzare i capi: l’art. 5 della legge citata obbliga i produttori a riciclarli ed autorizza gli stessi a rivendere la merce rimasta in magazzino ai dipendenti con uno sconto nella misura del 50% sul valore di mercato.

Un vantaggio conseguito nell’immediato risulta dall’abbattimento dei costi di smaltimento dei rifiuti, mentre ragionando in senso prospettico gli effetti della disposizione adottata si manifesteranno con maggior rilievo sul perseguimento dell’Agenda on Climate Change and Ecosustainability, proprio in ragione della riduzione dell’emissione di CO2 e degli altri agenti inquinanti.

Rifiuti tessili: quale normativa può essere assunta a parametro di riferimento in Italia?

Primariamente il D.Lgs. nr. 116 del 03.09.2020 è stato adottato in attuazione della Direttiva n. 2018/852 Ue e che modifica la Direttiva 2008/98/CE.

Sebbene manchi una direttiva di attuazione in materia di fibra tessile, si può desumere all’interno dell’art. 1 comma 4 paragrafo 3 come il legislatore italiano adotti una EPR (responsabilità estesa del produttore) in capo al produttore in maniera equivalente alla previsione normativa francese.

All’interno del decreto citato, viene posto in capo al produttore un’obbligazione legale inerente al fatto che la gestione dei rifiuti sia svolta in misura conforme al raggiungimento degli obiettivi unionali.

In particolar modo occorre sottolineare come la Direttiva n. 2018/851 (relativa ai rifiuti) abbia apportato delle significative modifiche al precedente diritto di derivazione comunitaria assurgendo a legal obligation in capo agli Stati Membri.

All’interno della stessa si statuisce a chiare lettere l’obbligo di istituire la raccolta differenziata dei rifiuti tessili e nel contempo fissa la deadline dell’attuazione mediante disposizione interna al 1 gennaio 2025.

Lo Stato italiano pur essendo stato destinatario nel corso degli anni di pesanti sanzioni economiche ad opera della Corte di Giustizia Europea per non aver adempiuto agli obblighi di attuazione del diritto derivato, ha dimostrato per contro, un grande future planning nell’anticipare di tre anni rispetto al deadline term il decreto di attuazione con decorrenza anticipata proprio al 1 gennaio 2022.

Da ultimo occorre infatti notare come questa normativa di trasposizione interna presenta come vera matter of interest la creazione di sistemi volti ad incentivare il riutilizzo di prodotti originariamente destinati allo smaltimento con un duplice side-effect inteso in senso positivo.

In tale contesto, molto similarmente a quanto visto in Francia, conseguirà un logico e naturale abbattimento dei costi di recupero e smaltimento e nel contempo un risparmio in termini finanziari.

Un altro effetto derivante dal rispetto delle previsioni normative citate riguarda vieppiù il perseguimento in concreto di un modello virtuoso di economia circolare; in siffatto quadro regolamentare un dato stock di abiti rimasti invenduti, potrà per esempio essere re-inserito sul mercato anche a titolo gratuito o eventualmente a prezzo simbolico, a famiglie incapienti, impossibilitate a poter acquistare capi di abbigliamento high end.

In ultimo, ma non per importanza, un ruolo decisivo deve essere svolto poi dal recupero dei materiali tessili attraverso la generazione di End of Waste (vale a dire la disciplina legata alla cessazione della qualifica di rifiuto al termine di un processo di recupero) concetto assorbente altresì quello di MPS, ovvero materie prime secondarie, ai sensi e per gli effetti dell’art. 184 del D.lgs. n. 152/2006 Testo Unico Ambientale.

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