Startup e diritto societario in Italia
Il diritto societario statunitense, in particolare il diritto del Delaware, che lascia ampio margine alla libertà contrattuale, è stato uno dei motivi del successo che ha condotto alla creazione ed al finanziamento dell’ecosistema start-up nella Silicon Valley.
In Italia fino a pochi anni fa mancava del tutto una disciplina di diritto societario e degli affari adeguato alle start-up in fase iniziale.
Introduzione
La pressione sul diritto societario italiano non proviene da altri paesi europei per il tramite delle decisioni della Eurpoean Union Court of Justice in materia di libertà di stabilimento e di concorrenza normativa, bensì dagli Stati Uniti, segnatamente dalla giurisdizione del Delaware.
In Italia, questo processo è guidato da giovani studiosi, scienziati ed imprenditori italiani che gravitano intorno alla Silicon Valley o hanno familiarità con l’esperienza statunitense, i quali, in virtù di tale conoscenza, hanno iniziato a richiedere sempre più spesso strumenti equivalenti agli Stati Uniti per il finanziamento delle start-up, termine con il quale ci si vuole riferire ad imprese avviate da imprenditori sprovvisti di capitale di rischio in proprio, affiancati solitamente da piccoli team di dipendenti.
Tuttavia, il diritto italiano, al pari di molti ordinamenti in tutta Europa, non era sufficientemente attrezzato per offrire strumenti simili. Queste leggi sono state plasmate alla fine del XIX secolo da forze e attori economici completamente diversi, che oggi apparentemente non sono più in grado di promuovere una forte crescita economica.
Anche se non apertamente, l’approccio frammentario sta demolendo una vecchia istituzione giuridica dell’Europa continentale, il modello della “Gesellschsft mit beschränkter Haftung” (GmbH) che è stato abbracciato dalla maggior parte dei paesi europei tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo.
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L’esperienza americana: flessibilità contrattuale e finanziamento delle start-up
L’Europa brama le start-up americane; start-up innovative che sopravvivono e poi crescono creando posti di lavoro e ricchezza.
Oggi, le cinque maggiori società per capitalizzazione di mercato hanno iniziato come start-up sostenute dal capitale di rischio. Secondo il sito web “CB Insights“, nel mondo esistono circa 300 aziende private per un valore di oltre 1 miliardo di dollari. Tra questi, ci sono solo pochi “unicorni” europei, come BlaBlaCar (Francia) o CureVac (Germania).
Pertanto, l’Europa è ancora in ritardo, e le istituzioni europee stanno cercando di dare il via ad una rivoluzione delle startup attraverso iniziative pubbliche e misure di coordinamento, come l’iniziativa “Start-up e Scale-up”.
La Commissione Europea descrive la sua iniziativa Startup Europe come intesa a “collegare gli ecosistemi locali di startup in tutta Europa e a migliorare la loro capacità di investire in altri mercati come la Silicon Valley e l’India”.
La situazione in Italia non è delle migliori. Infatti, ad eccezione di Yoox, vi è una netta assenza di start-up innovative che possano aspirare a diventare “unicorni”.
Per creare un ambiente favorevole, l’Italia ha adottato alcuni interventi politici mirati, tra cui una radicale trasformazione del diritto societario non introducendo una nuova forma di business, ma rimodellando una vecchia forma, la “società a responsabilità limitata” (S.R.L.).
Per valutare se l’approccio del diritto societario italiano alla creazione di start-up sia valido, è necessario comprendere i problemi e le principali questioni di negoziazione tra un imprenditore quasi privo di capitale che vuole avviare un’attività innovativa e fornitori di capitale specializzato, e se il diritto societario può svolgere un ruolo abilitante.
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Il rapporto tra l’imprenditore innovativo senza capitale e i fornitori di capitale
Il finanziamento di start-up non è un compito semplice. Una startup non è altro che un’idea ed un imprenditore con un team alla ricerca di finanziamenti. L’investitore che decide di finanziare l’imprenditore deve superare problemi molto significativi.
In primo luogo, il potenziale fornitore di capitale potrebbe chiedersi perché l’imprenditore non sia stato finanziato dai precedenti datori di lavoro o da qualsiasi operatore storico del settore. In secondo luogo, e ancora più importante, l’investitore deve fare i conti con la propensione all’azzardo morale dell’imprenditore.
L’accordo è quindi strutturato in modo da vincolare l’imprenditore alla sua promessa di lavorare sodo per la creazione di valore. Poiché l’investitore non può misurare la qualità e la quantità degli sforzi di lavoro nello sviluppo del progetto fino a quando la creazione di valore non è visibile, il finanziamento è strutturato in fasi (“milestones“) secondo un principio di ricompensa per la performance, dove il raggiungimento di determinate misure di performance è un segnale che può persuadere l’investitore a finanziare ulteriormente.
L’investitore ottiene diritti di controllo che consentono la nomina di uno o più amministratori nel consiglio di amministrazione (investor director) e l’assunzione del pieno controllo su di esso e sulla società nel caso in cui la performance sia inferiore alle aspettative e l’investitore voglia vendere o cessare l’attività.
Questi complessi rapporti di agenzia devono essere disciplinati da un adeguato quadro contrattuale, che a livello aziendale vede di norma l’impiego di titoli convertibili e di azioni privilegiate convertibili.
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Il finanziamento delle start-up negli Stati Uniti: costituzione e FFF
Gli startupper inizialmente finanziano la loro azienda con il proprio denaro (“bootstrapping”) e quello di FFF (family, friends, fools).
Questi investitori iniziali acquistano azioni ordinarie e condividono stessi diritti e rischi dei fondatori, poiché sia i rapporti personali che le dimensioni dell’investimento si scontrano con i costi e i confronti di una negoziazione più sviluppata e complessa.
Di solito la società è costituita nel Delaware.
Il predominio del diritto societario del Delaware è oggetto di un’immensa letteratura e vi sono diverse ipotesi esplicative concorrenti tra cui quella di un diritto efficientemente amministrato da una magistratura altamente competente, effetti di rete e di apprendimento, gruppi di interesse, familiarità con gli investitori.
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I c.d. “Angeli”
Il ciclo di finanziamento successivo ai FFF è sostenuto da individui facoltosi (“Angels”) e dai loro gruppi (“Angels group”), che forniscono anche consulenza all’azienda.
In precedenza, gli Angeli erano soliti investire in azioni, ma gradualmente sono passati a strumenti di investimento più protettivi, come le obbligazioni convertibili con un prezzo massimo di conversione scontato (“seed debt”) o le azioni convertibili semplificate (“seed equity”).
I seed dept, al fine di ridurre i costi di transazione e di gestione, in molte operazioni le obbligazioni convertibili sono state trasformate in “titoli convertibili” o nel “simple agreement for future equity” (SAFE) – in realtà, strumenti in cui le caratteristiche del tipo di debito vengono eliminate e l’opzione call sulle azioni future viene mantenuta.
I seed equity, sono invece forme di finanziamento di serie A, ossia gli strumenti finanziari tipici dei cicli di finanziamento dei Venture Capital (VC). Attraverso i seed equity gli investitori vagliano tale valutazione e fissano la loro quota della società molto prima dell’entrata in gioco dei VC, con la speranza di ottenere un accordo migliore.
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Capitale di rischio (Venture Capital)
I fondi di capitale di rischio tendono ad effettuare investimenti sostanziali e quindi ad intervenire in una fase successiva rispetto ai FFF e agli Angels.
Ad ogni round possono intervenire nuovi investitori, creando cosi una struttura finanziaria complessa con molti strati di capitale che può dar luogo a conflitti tra gli investitori.
Gli strumenti di investimento dei capitali di rischio di scelta sono azioni privilegiate, adottate per ottenere diritti e protezioni aggiuntive rispetto ai comuni stockholders. Le azioni preferite offrono guadagni al rialzo sotto forma di preferenza per i dividendi e protezione al ribasso attraverso la preferenza per la liquidazione in caso di liquidazione.
I preferiti di solito incorporano diritti convertibili e sono assistiti da clausole anti-diluizione, diritti di prelazione, diritti di riscatto, diritti di primo rifiuto, diritti di tag along e drag along.
Tuttavia, le azioni privilegiate sono favorite rispetto al debito perché i VC, in quanto titolari di titoli azionari, possono controllare le decisioni in un modo che non sarebbero in grado di raggiungere come debitori, almeno senza mettere in pericolo la loro responsabilità limitata.
Le azioni privilegiate e i diritti di controllo che conferiscono ai VC sono inoltre accompagnati da patti negativi che limitano la discrezionalità dell’imprenditore e tutelano gli interessi delle azioni privilegiate da quelli, potenzialmente in conflitto, delle azioni ordinarie.
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L’importanza della libertà contrattuale
Una grande quantità di ricerche economiche e giuridiche offre una spiegazione ai problemi e alla logica di incentivazione che sta alla base dell’architettura degli affari di VC.
I problemi che influenzano il rapporto tra VC e imprenditore sono uno specifico sottoinsieme dei più generali problemi riguardanti le società a stretto contatto, dove la
vera questione non riguarda il rapporto manager – azionista, ma i conflitti tra azionisti.
La libertà e la flessibilità contrattuale hanno garantito una soluzione a questi problemi senza la necessità di forme societarie appositamente studiate o di norme imperative paternalistiche volte a proteggere l’una o l’altra parte dell’affare.
Quando la legge generale delle società di capitali non è stata sufficiente, l’esplosione della Limited Liability Company (LLC) ha offerto un veicolo alternativo agli investimenti, un luogo in grado di garantire la piena libertà contrattuale.
La struttura del capitale delle start-up è terreno fertile per conflitti d’interesse tra ogni classe di investitori.
Infatti, una delle questioni che riguardano il diritto societario del Delaware in relazione alle operazioni di VC è il conflitto intrinseco tra preferenza e comune in una situazione in cui, a causa della preferenza per la liquidazione, il primo vuole la liquidazione mentre il secondo vuole l’azione penale con la speranza di qualche vantaggio.
Il caso principale del Delaware, Trados, copre la questione, sostenendo che, quando una società non ha valore di common equity ma è comunque un’attività redditizia, c’è un intrinseco conflitto di interessi tra azionisti privilegiati con una preferenza di liquidazione in-the-money e azionisti ordinari.
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Europa e tradizione GmbH
Gli startupper italiani che hanno lavorato o semplicemente hanno sentito parlare del modello della Silicon Valley, hanno avuto grossi problemi nel trovare un veicolo simile a quello della società del Delaware.
La S.p.A. italiana, l’equivalente della tedesca “Aktiengesellschaft” (AG) e della francese “Sociéeté anonyme” (SA), presentava elementi che potevano ben gestire alcune caratteristiche di start-up, in particolare in termini di flessibilità finanziaria.
Tuttavia, due ostacoli hanno impedito ai giovani, privi di capitale, di avviare l’attività da zero attraverso una S.p.A.: capitale minimo obbligatorio di € 50.000 e un collegio sindacale obbligatorio di tre sindaci, il che significa un costo fisso di circa € 15.000/ € 20.000 all’anno.
La nuova classe sociale degli startupper è poi tornata alla S.r.l.
Tuttavia, anche la vecchia S.r.l. non è riuscita a soddisfare le esigenze di questa nuova classe sociale, per ragioni radicate nella storia del diritto societario dell’Europa continentale.
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Modelli normativi nel diritto societario europeo: modello mono-legge Vs. bi-legge
Le forme societarie appartenenti alla più ampia famiglia GmbH sono state costruite per impedire il loro accesso ai mercati dei capitali, il che significava sostanzialmente investitori esterni al capitale proprio.
Una distinzione classica nel diritto societario europeo è quella tra società pubbliche e private.
Le differenze tra gli Stati membri sorgono in relazione al modello normativo scelto per la governance di queste due forme societarie. Da un lato, incontriamo giurisdizioni (ad esempio Germania, Austria) che seguono un modello a due leggi, secondo il quale le società per azioni e le società a responsabilità limitata sono regolate in atti legislativi distinti e separati.
Analogamente, altri Stati membri, pur comprendendo la relativa regolamentazione in un unico Codice (Francia, Italia, Svizzera) o in un Testo Unico (Spagna), trattano chiaramente le imprese pubbliche e private come forme di organizzazione diverse, con la maggior parte delle disposizioni che riguardano sia la prima che la seconda.
In origine, le società erano tutte pubbliche dato che la costituzione richiedeva uno statuto reale o un atto speciale del Parlamento.
La differenziazione è diventata chiara in Europa solo con l’abolizione del sistema delle concessioni e la conseguente introduzione della libertà di costituzione a metà del XIX secolo. In seguito a questa svolta, la responsabilità limitata generale è stata concessa anche agli imprenditori che non intendevano raccogliere capitali dal pubblico, ma più semplicemente volevano creare una società di persone per dividere e proteggere il loro patrimonio.
La Germania e il Regno Unito avevano le economie più industrializzate all’epoca; sebbene il legislatore tedesco nel 1892 sia stato il primo ad emanare una legge sulle società a responsabilità limitata, nel Regno Unito il fenomeno delle piccole imprese private, era già stabilito nella prassi giuridica ed economica.
Negli ultimi decenni del XIX secolo, importanti bolle borsistiche hanno afflitto sia la Germania che il Regno Unito; la Germania nel 1873 ha vissuto il cd. “crollo dei fondatori”, ma in risposta a questo primo grande crollo borsistico, nel 1884 fu approvato la Aktienrechtsnovelle, ovvero una riforma della legge sulle società per azioni che rese più severe le norme sulla costituzione della società e i compiti del consiglio di sorveglianza.
Analogamente, nel Regno Unito, soprattutto ai sensi del Joint Stock Companies Act del 1856, la costituzione era un processo semplice e poco costoso, con la conseguente formazione di numerose società fraudolente. Cosi, la legge sulle società del 1900 ha rafforzato i requisiti normativi intervenendo sulla regolamentazione della divulgazione.
In conclusione, partendo da un contesto socioeconomico comparabile, i due legislatori si sono mossi in direzioni opposte che ancora oggi influenzano il diritto societario europeo.
Tutto questo, alla fine, ha portato alla nascita in Germania dell’azienda privata come forma di organizzazione distinta, mentre il Regno Unito è rimasto fedele al modello aziendale uniforme.
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L’ulteriore chiusura della S.r.l. in Italia
Il legislatore italiano, soprattutto in occasione della riforma complessiva del diritto societario del 2003, ha enfatizzato il concetto di struttura proprietaria della S.r.l.; infatti, mentre al momento della sua introduzione nel 1942 la S.r.l. era considerata una società pubblica “semplificata” o “minore”, nel 2003 questo tipo di società è stato rimodellato in modo completamente nuovo.
I tratti distintivi della S.r.l. di nuova concezione trovano espressione in numerose disposizioni che, ad esempio, consentono l’attribuzione di diritti speciali ai singoli soci, offrono la possibilità di scegliere tra diverse strutture di gestione. Il risultato è stato la costruzione di una forma societaria incentrata sulla partecipazione attiva dei soci in partnership alla conduzione dell’attività, vietando così, la possibilità di finanziare l’impresa privata mediante ricorso al risparmio pubblico.
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Il trend di modernizzazione in Europa: risposta alle esigenze di startup?
I due diversi modelli normativi menzionati sono entrati in competizione alla fine del secolo scorso; di conseguenza, il diritto delle società private, a partire dal 2003, è stato profondamente rivisto in tutta l’Europa continentale.
L’attenzione dei diversi legislatori si è rivolta alle PMI – Piccole e Medie Imprese – (il cd. Approccio “think small first”), la cui costituzione e la cui struttura interna di corporate governance doveva essere resa più attraente, flessibile e meno costosa e onerosa.
Le diverse riforme nazionali perseguono un obiettivo politico comune di allontanamento normativo ispirato all’esperienza di common law: rafforzamento della libertà contrattuale e introduzione di nuovi tipi o sottotipi di società vicine.
In riferimento al primo punto, mentre all’inizio del XX secolo i legislatori richiedevano per le società private il versamento di un capitale sociale minimo, oggi la maggior parte di esse consente la formazione di società a responsabilità limitata con capitale sociale pari o inferiore ad 1€.
Passando ora all’altro punto centrale degli sforzi di modernizzazione del legislatore, la corsa competitiva ha portato ovunque all’introduzione di una versione semplificata o di un sottotipo di società a responsabilità limitata “standard”.
Per lo più, questi nuovi veicoli sono stati creati per meglio soddisfare le particolari esigenze delle aziende di nuova costituzione. Tra questi veicoli, la Spagna ha introdotto nel 2003 la sociedad limitada nueva empresa (SLNE); cinque anni dopo, il legislatore tedesco ha introdotto l’Entrepreneurial Company (Unternehmergesellschaft – UG) come nuova variante della classica GmbH senza requisiti patrimoniali minimi.
Il legislatore italiano ha introdotto nel 2012 una versione semplificata della S.r.l. ossia la S.r.l.s., originariamente disponibile solo per fondatori under 35, restrizione abolita nel 2013, e senza costi di costituzione degni di nota a causa dell’uso obbligatorio di un modello statutario.
Sebbene tutti gli Stati membri abbiano compiuto sforzi significativi per la promozione dell’imprenditorialità e della competitività, mancava un approccio specifico che affrontasse i problemi e le esigenze delle start-up.
Per venire incontro alle esigenze degli startupper, l’Italia ha scelto di riformare ancora una volta il modello S.r.l.; questo ha significato ribaltare la storia della S.r.l., ed è esattamente quello che l’Italia ha fatto dal 2012 in poi.
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Startup per legge: l’abbandono della tradizione italiana della GmbH
Dopo meno di 10 anni della riforma del 2003, nel bel mezzo di una profonda crisi economica, il legislatore ha deciso ancora una volta di rivedere il diritto societario.
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha formato una task force di 12 esperti nel campo delle start-up, degli acceleratori, degli incubatori e del capitale del rischio, la quale ha redatto un rapporto intitolato “Restart, Italia!” che conteneva proposte per un “pacchetto iS.R.L”, il quale a sua volta prevedeva strumenti tipici del finanziamento di VC: work-for-equity e un regime meno restrittivo di capitale sociale per le startup, note convertibili, diritti di tag-along e drag-along ed il diritto di nominare amministratori.
A seguito del rapporto “Restart, Italia!”, il governo ha emanato un pacchetto legislativo per il 2012 denominato “Decreto Crescita” (Artt. 25-32 del Decreto-legge ottobre 2012, n. 179, convertito nella Legge 18 dicembre 2012, n. 221), che conteneva un’esplicita dichiarazione di politica secondo la quale il suo scopo era quello di favorire la formazione, lo sviluppo e il finanziamento di imprese tecnologicamente innovative, dando così impulso alla crescita e alla competitività dell’intero sistema economico.
La riforma del 2012 ha modificato la legge della S.r.l. a beneficio di un insieme molto limitato di SRL – definite per legge “startup innovative” definita come “un’entità costituita sotto forma di società privata, società pubblica o, anche cooperativa, le cui quote o azioni non sono negoziate su un mercato primario o secondario”.
Tra i requisiti richiesti troviamo: ricavi annuali non superiori a 5 milioni di euro a partire dal secondo anno; mancata distribuzione degli utili della costituzione, attività aziendali che consistono esclusivamente o prevalentemente nello sviluppo, produzione o commercializzazione di prodotti e/o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.
La riforma del 2012 ha introdotto anche misure relative alle piattaforme di crowdfunding, che sono state dettagliate in uno specifico regolamento emanato dall’autorità di regolamentazione italiana nel 2013, concentrandosi invece quasi esclusivamente sul crowdfunding come strumento per finanziare le start-up in fase iniziale.
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Le riforme 2015-2017: la tradizione della GmbH crolla
Il legislatore italiano già nel 2015 ha emanato il cd. “Patto per gli investimenti” (D.L. 24/01/2015 n.1).
In base ad essa, tutte le modifiche originariamente previste per le sole start-up innovative sono estese alle PMI; anche in questo caso le PMI innovative dovranno rispettare una serie di requisiti.
Nel 2017 tali modifiche sono state estese a tutte le PMI, anche se non innovative nel senso specificato, e quindi di fatto a tutte le S.r.l.: l’unica eccezione è rappresentata dall’impossibilità per le PMI (non innovative) di emettere titoli ibridi, i cd. Strumenti finanziari partecipativi.
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La costruzione delle nuove regole sulle startup innovative
I convertibili, sia sottoforma di debito che di azioni, sono considerati essenziali per il finanziamento delle start-up.
Considerando che tali strumenti di finanziamento erano tipicamente utilizzati dalle società pubbliche, la loro disponibilità anche per le S.r.l. è stata considerata una significativa innovazione all’epoca dell’intervento statutario del 2003.
Una serie di restrizioni si applica all’emissione di titoli di debito e quindi opererebbe anche per quanto riguarda le obbligazioni convertibili.
In primo luogo, l’emissione è soggetta ad un’esplicita autorizzazione da parte dello statuto. In secondo luogo, tali titoli di debito possono essere acquistati sul mercato primario solo da investitori professionali soggetti a regolamentazione prudenziale, come banche, assicurazioni.
Infine, le norme amministrative fissano il prezzo minimo di ciascuna emissione a 50.000 euro.
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Classi di quote e diritti degli azionisti
Ai sensi della riforma del 2012-2017, gli statuti delle startup e delle PMI possono consentire la creazione di classi di quote “entro il limite imposto dalla legge”. Il problema è che questi limiti non sono specificati.
Di conseguenza, gli studiosi fanno riferimento, per analogia, al diritto degli enti pubblici, laddove tali limiti esistono, o derivano dalle caratteristiche di partnership della S.r.l. tradizionale.
All’interno del primo gruppo di limiti rientrano le disposizioni secondo le quali i voti multipli non possono essere superiori a 3 e l’importo massimo delle azioni con diritto di voto limitato non può superare la metà del capitale sociale; il secondo gruppo si riferisce ai limiti derivanti dalla (apparente) obbligatorietà di alcuni diritti degli azionisti. In particolare, la governance delle startup è generalmente caratterizzata dalla sovrapposizione dei ruoli degli azionisti e degli altri partecipanti.
La riforma del 2003 ha sancito il principio fondamentale secondo cui gli azionisti devono votare su questioni aziendali cruciali, quali l’approvazione e la revoca degli amministratori e la modifica dello statuto sociale; tuttavia, gli azionisti dissenzienti, godono del diritto di perizia.
Inoltre, una quota qualificata di azionisti che rappresenti almeno 1/3 del capitale sociale può rimuovere qualsiasi decisione del consiglio; pertanto, l’azionista ha un forte diritto individuale di controllo sul consiglio di amministrazione.
Anche se i diritti di controllo devono essere esercitati in buona fede, nella pratica possono essere utilizzati in modo ostruzionistico.
Prima della riforma del 2017, quasi tutti gli autori hanno accettato che tali diritti di controllo non potessero essere limitati o eliminati; oggi la situazione è parzialmente cambiata poiché alcuni di essi ammettono un’opzione contrattuale simile (solo) per le quote senza diritti di voto.
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Norme sul capitale legale
I piani di incentivazione “Work-for-equity” sono una parte essenziale della maggior parte degli accordi di start-up per favorire l’impegno dei dipendenti e dei co-fondatori.
Al fine di favorire analoghi piani di vesting, con la riforma 2012-2017 è stato eliminato il divieto di effettuare operazioni sulle quote proprie tradizionalmente previste per le S.r.l. se tali operazioni sono funzionali all’attuazione di piani di incentivazione per i dipendenti e gli amministratori.
Tuttavia, l’acquisto di quote proprie non è un’opzione praticabile per le startup, poiché le quote sono già nelle mani dei fondatori, dei FFF e dei business angels, che non sono certamente interessati a rivenderle all’azienda in una fase iniziale.
Un approccio alternativo per l’implementazione di schemi di incentivazione potrebbe essere il classico work-for-equity, in cui il lavoro o i servizi sono contribuiti alla formazione del capitale legale come corrispettivo in natura. Tuttavia, questa opzione in generale non ha trovato alcuna applicazione significativa e non è certamente adatta a schemi di vesting.
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Diritti di uscita
Con riferimento ai diritti di uscita, molte (presunte) disposizioni obbligatorie caratterizzano la regolamentazione standard delle società private. In primo luogo, viene fornito un lungo elenco di diritti di perizia obbligatoria al socio dissenziente di varie operazioni commerciali ordinarie e straordinarie; la legge, inoltre, richiede che il risarcimento sia proporzionale al fair value dei beni della società.
I borsisti negano quindi la possibilità di valutare il corrispettivo della perizia al di sotto del valore reale della quota, almeno nei casi in cui il socio ha diritto ad un diritto di uscita obbligatorio.
Ciò può dar luogo a luogo a lunghi e costosi contenziosi ed in tutti questi casi, un’impresa in fase di avvio sull’orlo del successo può vacillare a causa di un esercizio ostruzionistico o arbitrario dei diritti di uscita.
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Considerazioni sull’esperimento italiano
Limitata da un lato dalle regole europee sul capitale e autoimposta severe regole sui revisori legali dei conti, dall’altro la tradizione della GmbH di una società privata che non può accedere ai mercati pubblici né avere investitori esterni di capitale come soci, ha spinto il legislatore italiano a rompere la tradizione e di trasformare gradualmente la Sr.l. in una creatura semi-liberale che dovrebbe offrire agli startupper italiani uno strumento per finanziare la loro attività attraverso i capitali di rischio e permettere anche l’accesso al crowdfunding e ai mercati dei capitali.
Questa ridefinizione della parte italiana della GmbH-counterpart è stato il chiaro prodotto della concorrenza del diritto societario statunitense.
Per comprendere quanto sia diffuso il fenomeno delle “dual companies”, che nel gergo degli startupper definisce i team europei che costituiscono una società statunitense per l’accesso ai finanziamenti di venture capital e contemporaneamente mantengono un’entità nella loro giurisdizione di origine, sono state identificate tutte le S.r.l. qualificate come “startup innovative” o “PMI innovative” italiane con un azionista statunitense; 16 delle 64 individuate possono essere classificate come “dual companies”.
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Raccomandazioni politiche
La completa liberalizzazione delle forme societarie potrebbe prendere due strade diverse.
Il primo percorso meno traumatico continuerebbe a lavorale sulla S.r.l. e nella direzione intrapresa dalle riforme italiane del 2012-2017; dovrebbe aprire la flessibilità finanziaria modificando almeno le regole sulla formazione del capitale per rendere più facilmente realizzabile il work-for-equity ed il vesting.
Il secondo percorso piò affrontare gli stessi scopi della polizza creando ex novo un equivalente della US Limited Liability Company (LLC), una società in cui le parti possono trarre vantaggio dalla responsabilità limitata e organizzare il loro rapporto come desiderano, senza quasi alcun limite.