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Protezione varietà vegetali

Protezione delle Varietà Vegetali: Requisiti e Normative Essenziali

ComplianceOttobre 14, 2024

Nel settore delle varietà vegetali i requisiti della privativa ed in particolare quelli della “novità” e “distinzione”, seguono una logica peculiare, significativamente distante rispetto al settore generale delle invenzioni.

Anzitutto, volendo iniziare ad inquadrare la relativa fattispecie, bisogna focalizzare l’attenzione sugli art. 100 e ss. del Codice di Proprietà industriale (d.lgs. 10/2/2005, n. 30).

Secondo il cit. art. 100 in particolare, può costituire oggetto del diritto su una nuova varietà vegetale un insieme vegetale di un taxon botanico del grado più basso conosciuto che, conformandosi integralmente o meno alle condizioni previste per il conferimento del diritto di costitutore, può essere definito o in base ad i caratteri risultanti da un certo genotipo o da una certa combinazione di genotipi, oppure distinto da ogni altro insieme vegetale in base all’espressione di almeno uno dei suddetti caratteri, od ancora considerato infine come un’entità  altra rispetto alla sua identità ad essere così riprodotta in modo conforme.

Sennonché, come si è detto, gli elementi fondativi del diritto del costitutore rilevano in quelli di novità e di distinzione, essendo il diritto di costitutore conferito quando la varietà è giustappunto nuova, distinta, omogenea e stabile (ex art. 102 c.p.i.).

In particolare, la varietà si reputa nuova ex art. 103, quando alla data di deposito della domanda di costitutore, il materiale di riproduzione o di moltiplicazione vegetativa od un prodotto di raccolta della varietà non è stato venduto, né altrimenti ceduto a terzi, dal costitutore o con il suo consenso, ai fini dello sfruttamento della varietà:

  1. Sul territorio italiano da oltre un anno dalla data di deposito della domanda;
  2. In qualsiasi altro Stato da oltre quattro anni o, nel caso di alberi e viti, da oltre sei anni;

Ai sensi dell’art. 104 c.p.i. la varietà si reputa distinta quando si contraddistingue nettamente da ogni altra varietà la cui esistenza, alla data del deposito della domanda è notoriamente conosciuta.

A livello internazionale, invece, il sistema di protezione delle varietà vegetali è disciplinato dalla convenzione UPOV (Union pour la protection des obtentions vegetales) del 1961, di cui l’Italia fu firmataria assieme ad altri sette Paesi.

Questa convenzione è stata più volte modificata, fino alla cd. UPOV 3 del 1991 che ha portato ad incrementare la tutela delle innovazioni vegetali.

L’Unione Europea dal canto suo risulta parte formale della UPOV dal 2005, ma dal 1994 è dotata di un proprio sistema di protezione delle nuove varietà vegetali – il Regolamento (CE) n. 2100/1994, praticamente modellato sul testo della convenzione UPOV 3.

Il suddetto regolamento ha istituito la privativa comunitaria per ritrovati vegetali, consentendo di ottenere un unico titolo di protezione per le nuove varietà vegetali efficace su tutto il territorio della UE.

In merito al concetto di distinzione l’art. 104 c.p.i., risulta in tutto conforme alla previsione del detto Regolamento, il quale infatti stabilisce il requisito (art. 7), specificando che “una varietà si considera distinta quando è chiaramente distinguibile, mediante l’espressione dei caratteri risultanti da un particolare genotipo o combinazione di genotipi, da qualsiasi altra varietà la cui esistenza è notoriamente conosciuta alla data di presentazione della domanda”.

I requisiti di varietà e novità

Ora, affinché una varietà possa essere protetta, sarà necessario che possa parlarsi di una varietà vera e propria, così da giustificare la caratteristica di novità della pianta.

Una varietà, può definirsi tale in relazione allo stato della tecnica rispetto al trovato.
Soprattutto, anche in dottrina, il requisito della distinzione è stato concettualmente assimilato a ciò che nelle invenzioni costituisce l’attività inventiva od anche l’originalità, così da misurare il grado di differenziazione che si richiede affinché la varietà vegetale possa formare oggetto di privativa.

Trattandosi di varietà vegetali, l’apprezzamento del carattere della distinzione non comporta, in questo caso, un giudizio di evidenza o meno rispetto allo stato della tecnica, ma si basa sul confronto con le anteriorità isolate l’una dall’altra, in base alle differenze tra i genotipi o le combinazioni dei genotipi e tra le espressioni dei caratteri del genotipo di riferimento.

Se, quindi, risulta vero che anche differenze genetiche minime rispetto alle varietà note, ove si traducano in differenze fenotipiche significative, debbano essere ritenute sufficienti per considerare soddisfatto il requisito della distinzione delle nuove varietà, sarà abbastanza logico inferire che il giudizio od il raffronto non possa che avvenire con altre varietà vegetali.

Una conferma di questo principio, del resto, emerge da un lato in base al cit.  art. 104 del c.p.i, che insiste ripetutamente sul fatto che si debba trattare, ai fini del riconoscimento del diritto del costitutore, di varietà diversa da ogni altra già notoriamente conosciuta, e dall’altro proprio dalla convenzione UPOV, poiché il requisito della distinzione dev’essere apprezzato in relazione ai “caratteri” espressi dal genotipo e non al genotipo in sé e per sé considerato.

Sulla base di queste premesse, emerge dunque anzitutto come in tema di brevetto per varietà vegetali, tra i requisiti del diritto di costituire c’è che la varietà sia nuova e distinta, e la varietà si reputa distinta quando si contraddistingue nettamente da ogni “altra” varietà la cui esistenza, sia notoriamente conosciuta.

Sulla portata interpretativa dell’aggettivo “altra” si delinea un contrasto giurisprudenziale e dottrinale latore di diverse pronunce giurisprudenziali.

Secondo una prima interpretazione l’aggettivo “altra” dovrebbe essere inteso in senso sostanziale quale diversa varietà vegetale, avente caratteri morfologici – fenotipici differenti.

In base ad una seconda interpretazione, invece, l’aggettivo “altra” dovrebbe essere inteso in senso formale, quale mera rappresentazione della realtà, fino a potervi includere anche un titolo di privativa formalmente diverso da quello rispetto al quale si deve valutare l’alterità, pur se inerente alla medesima varietà.

A questo principio bisogna poi aggiungere l’altro in base al quale, ove si discorra della stessa varietà, per la quale lo stesso costitutore (od il suo dante causa) abbia chiesto all’estero l’attribuzione della privativa, non viene in questione un difetto di distinzione, in quanto la “medesima” varietà non può rientrare nel concetto di “altra” varietà già altrimenti notoriamente conosciuta.

Considerazione non dissimile per quanto riguarda il già accennato requisito della novità. Nell’abrogato art. 1, d.P.R. 12 agosto 1975, n. 974, esso veniva enunciato, ma non espressamente definito, se non attraverso il rimando al requisito di “distinzione”; le norme attualmente vigenti e cioè l’art. 103 con riferimento alla novità ed il cit. art. 104 con riferimento alla distinzione – sono sostanzialmente sovrapponibili alla norma abrogata: infatti la prima parte dell’art. 1, d.P.R. 12 agosto 1975 n. 974 ricalca l’art. 104 cpi, mentre la seconda parte del medesimo rievoca il cit. art. 103.

In materia di varietà vegetali il requisito di novità coincide con l’assenza di predivulgazione da parte del richiedente entro determinati limiti temporali, nel senso che la varietà in questione od il relativo materiale riproduttivo non deve essere stato “venduto, né altrimenti ceduto a terzi, dal costitutore o con il suo consenso, ai fini di sfruttamento della varietà”, prima di una determinata data (che varia a seconda del territorio in cui è avvenuta la diffusione e della tipologia di varietà diffusa).

La ratio della norma è intesa a salvaguardare la possibilità preliminare di verificare la portata innovativa della varietà.

Ne consegue, pertanto, che la disciplina in materia di varietà vegetali, sia in punto di novità che in punto di distinzione, pare presentare caratteri peculiari suoi propri in quanto tali tuttora latori di persistenti contrasti sia nella dottrina che nel diritto togato.

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