Commento al Nuovo Codice di Corporate Governance
Premessa
A distanza di due anni dall’ultima revisione, il Comitato per la Corporate Governance, istituito nel 2011 al fine di supportare le principali associazioni imprenditoriali e degli investitori professionali e di Borsa Italiana S.p.a. ha approvato e pubblicato il 31 gennaio del 2020 la nuova edizione del Codice di Corporate Governance, precedentemente denominato Codice di Autodisciplina ed approvato nel luglio del 2018.
Il nuovo Codice è rivolto a tutte le società con azioni quotate sul Mercato Telematico Azionario gestito da Borsa Italiana S.p.a.
La nuova edizione prevede un totale di 6 articoli suddivisi in principi, che definiscono gli obiettivi di una buona governance, e in raccomandazioni, che indicano i comportamenti che il Codice reputa adeguati a realizzare gli obiettivi indicati nei princìpi (c.d. best practice).
L’adesione al Codice, e quindi ai suoi principi e raccomandazioni, è volontaria e basata sul principio “comply or explain”, con la prevalenza della sostanza sulla forma e la cui applicazione si avrà a partire dall’esercizio 2021.
Tuttavia, ogni società che aderisce al Codice ha l’obbligo di inserire nella relazione sul governo societario tutte le informazioni nonché le modalità di applicazione del Codice stesso.
L’art. 123 bis, comma 2, lett. a), T.U.F., richiede infatti che la relazione sulla gestione delle società quotate dia informazione circa “l’adesione ad un codice di comportamento in materia di governo societario promosso da società di gestione dei mercati regolamentati o da associazioni di categoria, motivando le ragioni dell’eventuale mancata adesione ad una o più disposizioni, nonché le pratiche di governo societario effettivamente applicate”.
Sulla base di cui sopra, le informazioni pubblicate sul rispetto o meno del Codice diventano una vera e propria comunicazione sociale, con tutti i risvolti civili, amministrativi e penali che deriveranno dalla diffusione di informazioni non corrette.
Aspetti innovativi di carattere generale
Il primo elemento innovativo da tenere sicuramente in considerazione, che non può che essere valutato positivamente, è la maggiore semplificazione e sintesi contenutistica.
Si è infatti passati da un Codice, quello del 2018, in cui si contavano 10 articoli, ad un Codice composto da soli 6 articoli.
L’ulteriore elemento innovativo si rintraccia nella struttura degli stessi articoli: si nota, infatti, la mancanza in quest’ultima edizione dei commenti che avevano l’ispirazione di fornire chiarimenti e spiegazioni discorsive più ampie ma che nel concreto hanno spesso lasciato spazio a perplessità e confusione.
Tale concisione contenutistica è stata raggiunta, inoltre, mediante la stesura di articoli che non tengono in considerazione il sistema di governance (tradizionale, monistico e dualistico) assunto dalla singola società: sono, infatti, state dettate norme in modo neutrale riferite ad organi di amministrazione e controllo ed ai loro componenti in generale.
La chiarezza del Codice viene, altresì, assicurata attraverso l’introduzione di varie definizioni tra cui: amministratori, organi di amministrazione e controllo, piano industriale, società a proprietà concentrata, società “grande” e successo sostenibile.
Altro importante aspetto innovativo riguarda la maggiore proporzionalità e flessibilità che si rintraccia nel testo delle norme.
Nonostante, infatti, il Codice si riferisca a tutte le società, le raccomandazioni sono graduate in ragione delle dimensioni dell’impresa e le prescrizioni adeguate in funzione della struttura proprietaria più o meno concentrata.
Mentre in passato, la proporzionalità era limitata alle sole dimensioni, la nuova edizione del Codice va oltre il tradizionale target delle grandi imprese (principalmente istituzioni finanziarie e aziende di Stato) per meglio adattarsi alle piccole e medie imprese industriali e/o a conduzione familiare che rappresentano la spina dorsale dell’economia italiana e sostengono in modo sproporzionato i costi e gli oneri di conformità di una quotazione sul mercato.
Nuovo Codice di Corporate Governance: articolo per articolo
ART. 1 – Ruolo dell’organo di amministrazione
L’art. 1, ha ad oggetto il ruolo dell’organo di amministrazione e rivela fin da subito il passaggio dall’obiettivo-guida volto alla “creazione di valore per gli azionisti in un orizzonte di medio-lungo periodo” a quello di perseguire il “successo sostenibile” della società, ossia la creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società.
Tuttavia, pur essendo condivisibile, dal punto di vista valoriale, il riferimento agli interessi di soggetti diversi dagli azionisti ed alla sostenibilità, si discute, nella prassi e nel dibattito accademico, sulla valenza e sulla eccessiva enfasi che si attribuisce a tali formule in concreto.
In effetti, sul piano giuridico, tali formule non si prestano agevolmente a garantire una reale guida ex ante all’operato degli amministratori, né tantomeno possono essere invocate per valutarne ex post le decisioni o l’adempimento dei propri doveri.
Ogni amministratore, manager e più in generale ogni imprenditore, è a conoscenza del ruolo fondamentale che soggetti diversi dagli investitori nel capitale di rischio, quali ad esempio clienti, lavoratori, fornitori e la comunità in generale, ricoprono per la sopravvivenza dell’ente societario; tale consapevolezza, però, è presente nei soggetti sopra richiamati a prescindere dalle enunciazioni di principio.
L’idea, quindi, che gli amministratori possano, o addirittura debbano (come nelle società benefit) tenere conto degli interessi di diversi stakeholders nell’operare le proprie scelte amplia, ovviamente, la loro discrezionalità e in certo senso può essere vista come un potenziamento della loro posizione.
Sarà inevitabilmente più semplice giustificare scelte e decisioni assai eterogenee, proprio in virtù dell’esigenza di dover bilanciare questo complesso di interessi.
Altro tema di rilevante importanza rintracciabile nell’art. 1 è la formula relativa al dialogo con gli azionisti.
La nuova formula, in modifica di quella precedente in cui si chiedeva al consiglio di adoperarsi per l’instaurazione di un “dialogo continuativo fondato sulla comprensione reciproca dei ruoli”, prevede un invito a promuovere il dialogo sia con i soci che con gli “altri stakeholder”.
In particolare, l’obiettivo primario del successo sostenibile si evidenzia nelle modalità con cui tale dialogo debba avvenire: non è più prevista l’individuazione di un responsabile dei rapporti con gli azionisti né la costituzione di una struttura aziendale dedicata in favore di una maggiore flessibilità e “vicinanza” al singolo azionista.
ART. 2 – Composizione degli organi sociali
La novità introdotta si riscontra già nel titolo attribuito al presente articolo: composizione degli organi sociali.
Si nota infatti che, in virtù di una maggiore semplificazione e snellimento del testo, l’articolo faccia riferimento non più solo al consiglio di amministrazione ma abbia ad oggetto anche le previsioni inerenti ad amministratori indipendenti e componenti dell’organo di consiglio, eliminando gli appositi articoli dedicati della precedente edizione.
Tra i principi contenuti nell’art. 2, il VII sottolinea l’importanza della diversità, non soltanto in termini di membri esecutivi e non, anche di genere nella composizione degli organi, pur affermando il principio dell’adeguata competenza e professionalità dei suoi componenti.
Una maggiore diversità all’interno della compagine societaria è senza dubbio positiva, anche in considerazione di una più ampia visione d’insieme permeata da molteplici prospettive.
Tale composizione presenta, infatti, diversi vantaggi: informazione societaria più completa e livelli di performance più alti.
Con particolare riferimento alla tematica dell’ “equilibrio tra i generi negli organi delle società quotate”, si rileva, inoltre, che la Legge 27 dicembre 2019 n.160 (“Legge di Bilancio 2020”), modificando gli artt. 147-ter, comma 1-ter, e 148, comma 1-bis del D.lgs. 58/1998 (“TUF” – Testo Unico della Finanza), ha aumentato ad almeno due quinti la quota dei componenti degli organi di amministrazione e controllo riservata al genere meno rappresentato e ne ha esteso la durata da tre a sei mandati consecutivi, con decorrenza dal primo rinnovo successivo al 1 gennaio 2020 (data di entrata in vigore della Legge di Bilancio 2020).
Ulteriori novità riguardano gli amministratori indipendenti.
Nonostante le fondamenta della disciplina rimandino alla precedente edizione del Codice, le novità introdotte hanno ad oggetto significativi miglioramenti.
Nella nuova edizione si rintraccia una maggiore chiarezza espositiva in merito alle ipotesi di non indipendenza: in particolare, si prevede che non sia di regola indipendente chi sia stato amministratore dell’emittente per almeno nove esercizi negli ultimi dodici, precisando che essi rilevano anche se non consecutivi.
Inoltre, mentre nella precedente edizione il presidente del consiglio era considerato come esponente di rilievo e, per tal motivo, ritenuto non indipendente, il nuovo testo prevede che, in assenza di altre cause di non indipendenza, la semplice circostanza di essere chiamati a presiedere l’organo collegiale non rappresenta un elemento inficiante l’indipendenza.
L’art. 2 si concentra poi sulla composizione dell’organo di amministrazione della società.
In particolare, a prescindere dall’organizzazione societaria (tradizionale, monistica o dualistica) è richiesta:
- la presenza di almeno due amministratori indipendenti, diversi dal presidente;
- nelle società c.d. grandi (con capitalizzazione superiore a 1 miliardo di euro) ed a proprietà concentrata (in cui uno o più soci partecipanti ad un patto parasociale di voto dispongano, direttamente o indirettamente, della maggioranza dei voti in assemblea ordinaria) che l’organo di amministrazione sia composto per almeno un terzo da amministratori indipendenti;
- nelle società c.d. grandi che l’organo di amministrazione sia composto per almeno la metà da amministratori indipendenti e che si riunisca con cadenza periodica e, comunque, almeno una volta l’anno per le valutazioni inerenti al funzionamento dell’organo ed alla gestione della società;
- che sia per l’organo di amministrazione, sia per l’organo di controllo (alternativamente: il collegio sindacale in caso di adozione del sistema tradizionale; il consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico o il comitato per il controllo sulla gestione (nominato all’interno del consiglio di amministrazione) nel modello monistico), la società definisca i d. criteri di diversità, affinché almeno un terzo dei membri di tali organi sia costituito da componenti del genere meno rappresentato (Raccomandazione n. 8).
ART. 3 – Funzionamento dell’organo di amministrazione e ruolo del presidente
Le novità in tale articolo evidenziano uno degli obiettivi principali che la nuova formulazione del Codice intende perseguire: maggiore concisione e maggiore flessibilità.
In particolare, si nota l’assenza di un articolo interamente dedicato ai comitati interni al consiglio di amministrazione, in favore di un unico articolo in cui l’argomento, pur essendo richiamato, viene accorpato dal più generale tema sul funzionamento dell’organo amministrativo.
Per ciò che concerne la maggiore flessibilità, si evidenzia la possibilità di più ampi margini di autonomia degli emittenti che intendono conformarsi ai disposti dell’autodisciplina.
La rigidità lascia il posto a maggiore discrezionalità in ordine all’ipotesi di non istituzione di alcun comitato e soprattutto all’eventuale presenza, in termini di composizione, di amministratori indipendenti in seno allo stesso.
Tale impostazione muove dalla presunzione che oramai determinati principi siano stati internalizzati dalle singole società e che pertanto non riportare nel testo normativo disposti risalenti sia più conforme con la funzione e gli obiettivi perseguiti dal Comitato.
Altra nota di merito deve essere riconosciuta al disposto della Raccomandazione n. 12, lett. d), avente ad oggetto i c.d. programmi di induction, ossia quei programmi di formazione che consentono ad amministratori che per la prima volta entrano a far parte della compagine sociale, di comprendere quali siano le esigenze e le specificità dell’azienda ed in particolare “dei settori di attività in cui opera la società, delle dinamiche aziendali e della loro evoluzione anche nell’ottica del successo sostenibile della società stessa nonché dei princìpi di corretta gestione dei rischi e del quadro normativo e autoregolamentare di riferimento”.
È indubbio che una previsione del genere possa giovare non soltanto alla funzionalità e qualità del singolo mandato, ma anche all’intera struttura societaria in virtù di un maggior dialogo anche in riferimento a questioni che risulterebbero altrimenti ostiche soprattutto nei primi mesi di mandato e sulle quali, in mancanza, si preferirebbe non discutere.
ART. 4 – Nomina degli amministratori e autovalutazione dell’organo di amministrazione
L’art. 4, nell’attuale formulazione, prevede un diverso piano di successione degli amministratori esecutivi e delegato (CEO – chief executive officer).
Difatti, mentre la precedente edizione prevedeva che a giudicare sul punto fosse il consiglio di amministrazione, la nuova formulazione, alla Raccomandazione n. 24, prevede per le “società grandi” che l’organo di amministrazione:
- definisce, con il supporto del comitato nomine, un piano per la successione del chief executive officer e degli amministratori esecutivi che individui almeno le procedure da seguire in caso di cessazione anticipata dall’incarico;
- accerta l’esistenza di adeguate procedure per la successione del top management.
Sempre in materia di nomine giova evidenziare la possibilità concessa al consiglio, in questa nuova formulazione del Codice, di presentare una lista di candidati in prossimità del termine del proprio mandato.
In particolare, tale previsione, attribuisce un peso maggiore al consiglio di amministrazione nell’esprimersi almeno sui criteri generali di composizione dell’organo, ponendo in capo a chi propone liste di maggioranza una sorta di onere di giustificare deviazioni dalle indicazioni del consiglio uscente.
Così facendo, si invita il consiglio ad assumere un ruolo di equidistanza dai soci più o meno forti.
ART. 5 – Remunerazione
L’art. 5, avente ad oggetto le remunerazioni, sembra essere quello meno investito dall’ondata innovativa dell’attuale Codice.
Difatti, restano stabili le fondamenta dettate dalla precedente edizione seppur con qualche più ampia apertura in merito ai compensi variabili per gli amministratori non esecutivi.
La stessa Raccomandazione n. 29 prevede che “La politica per la remunerazione degli amministratori non esecutivi prevede un compenso adeguato alla competenza, alla professionalità e all’impegno richiesti dai compiti loro attribuiti in seno all’organo di amministrazione e nei comitati consiliari; tale compenso non è legato, se non per una parte non significativa, a obiettivi di performance finanziaria.”
Ulteriore previsione in tema remunerazioni è prevista per la composizione del relativo comitato.
Infatti, si prescrive che il comitato remunerazioni debba essere composto da soli amministratori non esecutivi, in maggioranza indipendenti e debba essere presieduto da un amministratore indipendente.
Viene, inoltre, richiesta un’adeguata conoscenza ed esperienza in materia finanziaria o di politica retributiva di almeno uno dei componenti, la cui valutazione spetta all’organo di amministrazione in sede di nomina.
Si segnala che l’ordinamento italiano con la pubblicazione del d.lgs. n.49 del 10 maggio 2019, ha recepito la direttiva (UE) 2017/828 (c.d. “Shareholders’ Rights Directive 2” o “SHRD 2”) che modifica la direttiva 2007/36/CE per “l’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti”, con particolare riferimento alla tematica delle remunerazioni (ed anche delle operazioni con parti correlate e del diritto degli azionisti di porre quesiti prima dell’assemblea), modificando l’art. 123-ter del TUF e prevedendo, in particolare, (comma 3-ter) la natura vincolante (e non più solo consultiva) del voto assembleare in merito alle politiche di remunerazione e compensi dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche.
ART. 6 – Sistema di controllo interno e di gestione dei rischi
La principale novità sul tema è da identificarsi nell’affermazione del ruolo centrale dell’organo di amministrazione.
Infatti, pur ribadendosi la necessaria autonomia e indipendenza di chi si occupa di controllo, queste funzioni vengono espressamente riconosciute, già a livello di principi generali, come essenziali a una efficace gestione e parte delle responsabilità del vertice aziendale, attribuendosi esplicitamente al consiglio e al chief executive officer compiti di ingegneria, coordinamento e monitoraggio del sistema.
Un ruolo determinante viene svolto dal comitato controllo e rischi che, istituito all’interno dell’organo di amministrazione, ha il compito di supportare le valutazioni e le decisioni dell’organo di amministrazione relative al sistema di controllo interno e di gestione dei rischi e all’approvazione delle relazioni periodiche di carattere finanziario e non finanziario.
Invero, l’organo di amministrazione con il supporto del comitato controllo e rischi:
a) definisce le linee di indirizzo del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi in coerenza con le strategie della società e valuta, con cadenza almeno annuale, l’adeguatezza del medesimo sistema rispetto alle caratteristiche dell’impresa e al profilo di rischio assunto, nonché la sua efficacia;
b) nomina e revoca il responsabile della funzione di internal audit, definendone la remunerazione coerentemente con le politiche aziendali, e assicurandosi che lo stesso sia dotato di risorse adeguate all’espletamento dei propri compiti.
c) approva, con cadenza almeno annuale, il piano di lavoro predisposto dal responsabile della funzione di internal audit, sentito l’organo di controllo e il chief executive officer;
d) valuta l’opportunità di adottare misure per garantire l’efficacia e l’imparzialità di giudizio delle altre funzioni aziendali, verificando che siano dotate di adeguate professionalità e risorse;
e) attribuisce all’organo di controllo o a un organismo appositamente costituito le funzioni di vigilanza ex art. 6, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 231/2001;
f) descrive, nella relazione sul governo societario, le principali caratteristiche del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi e le modalità di coordinamento tra i soggetti in esso coinvolti, indicando i modelli e le best practice nazionali e internazionali di riferimento ed esprime la propria valutazione complessiva sull’adeguatezza del sistema stesso.
Per ciò che concerne la sua composizione, rileva l’obbligo di una composizione costituita da soli amministratori non esecutivi, la cui direzione viene affidata ad un amministratore indipendente.
Conclusioni
In conclusione, la valutazione sulla nuova edizione del Codice di Corporate Governance è positiva.
Le positività emergono su due fronti: la struttura e la scelta contenutistica sostanziale.
Dal punto di vista strutturale, è stato analizzato sopra come la scelta di eliminare i commenti agli articoli oppure di raggruppare più temi in un solo articolo, si è rivelata essere molto convincente ed in linea con gli obiettivi che il Comitato intendeva perseguire.
Dal punto di vista contenutistico, la ricerca di nuovi ideali, il “successo sostenibile” prima di tutto, ha permesso di concepire questa attuale edizione quale edizione fondata ed ispirata dai principi di proporzionalità, trasparenza e flessibilità dell’agire societario.