Work for Equity: cos’è e quali vantaggi per le imprese
Sono ben note le difficoltà cui deve andare incontro una startup nei momenti immediatamente successivi (e non solo) all’avvio del business, dato che solitamente i fondi a disposizione sono pochi e gli adempimenti da portare a termine sono numerosi, alcuni onerosi peraltro.
L’avvio della società può richiedere infatti l’intervento di diverse figure, tra cui avvocati e consulenti vari, per studiare e organizzare al meglio l’attività della neonata newco.
Molto spesso i costi legati all’intervento di queste figure impediscono o possono ostacolare l’incontro tra le parti, a discapito della stessa startup, sovente costretta a rinunciare a consulenze qualificate; evidente è il nocumento sinanche per il mercato, che rischia di perdere per strada elementi validi che non hanno potuto ricevere adeguata consulenza e assistenza.
Conscio di queste difficoltà, il legislatore ha cercato delle soluzioni per favorire l’incontro tra startup e professionisti vari, inserendo già nel d.l. 179/2012 (c.d. “decreto crescita 2.0”), istitutivo delle startup, la possibilità di far ricorso al “work for equity”, un meccanismo attraverso il quale le startup possono pagare i professionisti cui si rivolgono tramite l’emissione di quote, azioni o strumenti finanziari partecipativi.
Il “work for equity” non si limita al solo rapporto startup/professionisti, ma si può applicare anche a fornitori d’opera e servizi.
Oltre al considerevole vantaggio di risparmio per la startup, la norma prevede anche una serie di agevolazioni fiscali per i percettori delle partecipazioni, come ulteriore incentivo.
Per la verità, l’ipotesi del “work for equity” può riguardare anche il compenso dei dipendenti o dei collaboratori continuativi; tuttavia, l’aspetto che interessa sottolineare maggiormente in questo spazio attiene al rapporto con i prestatori d’opera, professionisti o fornitori.
Idealmente, la realizzazione del “work for equity” dovrebbe creare delle sinergie quindi tra la startup e i professionisti (es. avvocati, commercialisti, consulenti vari) e i fornitori d’opera e servizi, a vantaggio di tutti i soggetti coinvolti.
Le modalità con cui può realizzarsi il “work for equity” dipendono in buona parte dal tipo di partecipazione elargita al professionista, siano esse azioni o quote o sfp (strumenti finanziari partecipativi).
Se questi ultimi, trattandosi di strumenti a metà strada tra il capitale di rischio e il capitale di debito non sembrano porre grosse sfide applicative, quando la partecipazione si traduce in emissione di azioni o quote il discorso si complica un po’, per una serie di implicazioni pratiche.
Innanzitutto, le modalità principali con cui può realizzarsi il “work for equity” sono 3: la cessione di azioni/quote proprie; l’aumento di capitale sociale tramite conferimento di opera o servizi; l’aumento di capitale tramite compensazione del credito.
Andando con ordine, la cessione di quote e azioni prevede che la società acquisti le stesse dai suoi soci.
Le azioni, se acquistate a titolo oneroso, devono essere acquistate nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili all’ultimo bilancio approvato e devono essere interamente liberate (ossia deve essere stato interamente conferito il capitale), ex art. 2357 c.c. Ovviamente, l’acquisto deve essere deliberato dal consesso assembleare.
Saltano immediatamente all’occhio delle difficoltà pratiche per questa modalità, dato che è piuttosto infrequente che le startup siano in grado di acquistare le proprie azioni, o che le stesse siano interamente liberate.
Di tutte le strade, questa sembra in effetti l’ipotesi meno valida per la realizzazione del “work for equity”.
Non sono esenti da complicazioni anche le alternative con aumento di capitale, a pagamento o tramite compensazione dei crediti, comunque molto più appetibili rispetto alla cessione di azioni/quote.
Vi sarebbe anche l’ipotesi di aumento di capitale gratuito; tuttavia, questa ipotesi sembra pensata appositamente per favorire i dipendenti della società, senza estendersi ai prestatori d’opera.
Per quanto riguarda l’aumento di capitale tramite conferimento d’opera, valido solo per le srl, anche in questo caso è necessario che le azioni/quote esistenti siano interamente liberate. Non è necessario invece che la società non sia in perdita.
L’unico requisito fondamentale e inderogabile richiede che lo statuto preveda una clausola che consenta l’aumento di capitale a favore di terzi. Va da sé che ai soci preesistenti spetterà in questo caso automaticamente il diritto di recesso.
La vera complicazione in questo caso è data dai costi connessi alla sua realizzazione, che ne limitano l’effettivo vantaggio che si potrebbe conseguire.
Intanto, si tratta di un’ipotesi limitata alle sole s.r.l, dal momento che nelle società per azioni non è possibile eseguire conferimenti d’opera. Poco male, dato che nella stragrande maggioranza dei casi le startup sono costituite in forma di srl, ma comunque una piccola limitazione.
Inoltre, è necessario che la prestazione sia garantita da una polizza o una fideiussione che coprano la prestazione per il suo intero valore (art. 2464 c. 6, c.c.).
Non solo: è anche necessaria la relazione giurata di stima ex art. 2465 c.c., che attesti l’effettivo valore della prestazione fornita. Si tratta di un’operazione dai costi normalmente molto elevati, che di fatto compensano (se va bene) il risparmio ottenibile con il “work for equity”.
Il costo della relazione, unito alla necessità della garanzia della prestazione, allontanano le parti, dal momento che aumentano i costi e rallentano le operazioni. Per questi motivi, anche questa ipotesi risulta scarsamente percorribile e percorsa dalle startup.
Decisamente più invitante (pur non essendo esente da incertezze interpretative) è l’ipotesi dell’aumento di capitale con compensazione del credito.
Innanzitutto, è una strada percorribile sia dalle spa che dalle srl.
Questa ipotesi, va detto, non è frutto di un’espressa previsione di legge, ma di uno sforzo interpretativo e pratico degli attori coinvolti, che hanno ipotizzato questa strada anche alla luce delle considerazioni di cui sopra per le ipotesi alternative.
Un’interpretazione che è stata ormai largamente sdoganata ed accettata, sia da dottrina che giurisprudenza (cfr. Trib. Roma, 6 febbraio 2017), che anche dai consigli notarili (cfr. Massima Consiglio Notarile di Milano, n. 125 del 2013: “L’obbligo di conferimento di denaro in esecuzione di un aumento di capitale di s.p.a. o s.r.l. può essere estinto mediante compensazione di un credito vantato dal sottoscrittore verso la società, anche in mancanza di espressa disposizione della deliberazione di aumento. Tale compensazione, qualora sia legale e abbia quindi a oggetto debiti certi, liquidi ed esigibili ai sensi dell’art. 1243 c.c., non richiede il consenso della società, nemmeno nel momento in cui viene eseguita la sottoscrizione. Qualora il sottoscrittore intenda invece avvalersi, a tali fini, di un credito certo e liquido, ma non esigibile, la compensazione richiede il consenso della società ai sensi dell’art. 1252 c.c. La compensazione tra il debito per il conferimento in denaro e un credito vantato dal sottoscrittore nei confronti della società può avere luogo, secondo quanto sopra esposto, anche qualora tale credito sia sorto da una prestazione di natura non finanziaria (ad esempio, la vendita di un bene alla società). In tal caso – allorchè ricorra sostanziale contestualità e corrispondenza tra la prestazione eseguita a favore della società e l’aumento di capitale sottoscritto dal creditore, ovvero quando risulti che le due operazioni sono tra loro preordinate – si reputa che la sussistenza di una relazione di stima eseguita nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 2343, 2343-ter o 2465 c.c. costituisca elemento idoneo ad assicurare l’osservanza dei principi che presiedono alla corretta formazione del capitale sociale”).
Come funziona è intuitivo: il prestatore d’opera conferisce il proprio credito maturato nei confronti della società, compensato dal debito assunto con la sottoscrizione dell’aumento di capitale.
La questione che rimane dibattuta anche in questo caso è data dalla necessità o meno della perizia giurata, che attesti il valore della prestazione.
Pur senza certezze, va detto che vi sono degli elementi che fanno propendere per la non necessarietà di questa.
Il fatto che il debito sia già iscritto a bilancio infatti sarebbe elemento certificativo della sua esistenza e del suo ammontare (cfr. motivazione della Massima Consiglio Notarile di Milano, n. 125 del 2013), rendendo quindi superflua quindi la perizia.
Tuttavia, a parere dello scrivente, l’inciso della motivazione della massima citata per cui “Non può tuttavia escludersi che, allorquando il debito non abbia natura finanziaria, possa risultare evidente l’esistenza di un nesso (di natura temporale o funzionale) tra la delibera di aumento in denaro e l’operazione […] da cui il debito da compensare origina. In tali ipotesi potrà essere opportunamente valutato se i principi che regolano la corretta formazione del capitale non consiglino l’erezione di una perizia di stima, redatta ai sensi – a seconda dei casi – degli articoli 2343, 2343-ter o 2465 c.c., a presidio di interessi non dissimili da quelli tutelati dalle disposizioni sugli acquisti pericolosi di cui all’articolo 2343 bis e 2465 secondo comma c.c.” lascia spazio ad alcuni dubbi circa la necessarietà della perizia, soprattutto nel caso del “work for equity”, dove evidentemente le parti possono accordarsi fin da subito per questa modalità di pagamento, per cui le operazioni (prestazione d’opera e aumento capitale) saranno necessariamente preordinate l’una all’altra e legate da un nesso funzionale.
In attesa di pronunce giurisprudenziali e interpretazioni maggiormente chiarificatrici, dovrebbe in ogni caso il legislatore intervenire ulteriormente per agevolare ancora di più l’utilizzo di questo strumento, per favorire le startup.
Ricordiamo che oltre al “work for equity”, le startup possono usufruire del cd “Voucher 3I”, un altro strumento pensato per favorire l’incontro tra le società e i professionisti in materia IP, servizio offerto da P&S LEGAL.
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