Strumenti finanziari partecipativi e Covid-19
In conseguenza dell’emergenza Covid-19 molte imprese hanno urgente bisogno di liquidità. A questo bisogno i vari Stati, non solo europei, stanno rispondendo con interventi raggruppabili in tre categorie:
- prestiti d’emergenza, garantiti dallo Stato in modo diretto o indiretto;
- sospensione dei meccanismi legali che impongono agli amministratori di società di arrestare la gestione societaria in presenza di crisi (istanza di fallimento, responsabilità civile, cause di scioglimento);
- congelamento dei procedimenti miranti alla dichiarazione di fallimento (comunque denominato) delle società in crisi per effetto dell’emergenza.
L’Italia ha già adottato alcune delle suddette misure, prevedendo ad esempio un congelamento fino al 30 settembre 2020 degli affidamenti goduti dalle imprese e la sospensione dei rimborsi di prestiti e leasing fino alla stessa data.
Tuttavia, per aiutare concretamente il mondo delle imprese, occorre allinearsi al modo di pensare degli imprenditori, basato su priorità precise e obiettivi concreti: avere la liquidità necessaria per produrre beni e servizi, coprire i costi fissi e finanziare il tempo necessario per l’incasso dei crediti. Questi obiettivi non si possono conseguire con provvedimenti indirizzati solo sul debito. Il debito, da solo, non è idoneo a superare le crisi di liquidità, di fatturato, di mercato, dato che prima o poi bisogna restituirlo e la mancanza di flussi di cassa potrebbe rendere questa operazione impossibile o troppo gravosa per le imprese.
Una possibile alternativa al debito potrebbe dunque provenire dalla possibilità di conversione dei cc.dd. Prestiti Covid in strumenti finanziari partecipativi (SFP), magari con possibilità per le banche di cederli, a certe condizioni e a un prezzo determinato, a un organismo di diritto pubblico che li gestisca.
Gli Strumenti Finanziari Partecipativi (SFP) rappresentano uno degli istituti giuridici più innovativi introdotti a seguito della Riforma del Diritto Societario avvenuta attraverso il d.lgs. n. 6/2003. Tale decreto, al fine di ampliare l’autonomia statutaria delle società, per primo ha consentito la creazione e l’emissione, da parte delle società di capitali, di strumenti finanziari caratterizzati da contenuti più o meno ampi di equity e di debito.
La regolamentazione degli SFP all’interno del codice civile è affidata in particolare all’art. 2346, comma 6, all’art. 2349, comma 2 e all’art. 2351, comma 5.
L’art. 2346, comma 6, prevede che le Società per Azioni possano emettere, a seguito dell’apporto anche di opera o di servizi da parte di soci o di terzi, strumenti finanziari partecipativi muniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso solo il diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti. Inoltre, si precisa che debba essere lo statuto a disciplinarne le modalità e le condizioni di emissione, i diritti che gli stessi conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, ove ammessa, le regole per la loro circolazione.
L’art. 2349, comma 2, prevede, invece, la possibilità per l’assemblea straordinaria di deliberare l’assegnazione ai prestatori di lavoro dipendenti della società, o di società controllate, di strumenti finanziari partecipativi forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso anche in questo caso il diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti. In tal caso viene permessa la previsione di norme particolari riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti attribuiti, alla possibilità di trasferimento e alle eventuali cause di decadenza o riscatto.
L’art. 2351, comma 5, sancisce poi che gli strumenti finanziari partecipativi possano essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e che possa essere riservata ai titolari degli stessi, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del Consiglio di Amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco.
A seguito, poi, del c.d. Decreto Crescita 2.0 (D.L. 179/2012 conv. in L. 221/2012) e del c.d. Decreto Investment Compact (D.L. 3/2015, conv. in L. 33/2015) ora gli SFP, nella loro veste di strumento alternativo per reperire risorse, sono stati ammessi non più solo per le S.p.A., ma anche per le Start-up Innovative e per le PMI Innovative costituite sia sotto forma di S.p.A. che di S.r.l.
Nella pratica, da un punto di vista dell’investimento eseguito dal finanziatore, gli SFP possono essere emessi a fronte di:
- finanziamenti per così dire puri, cioè costituiti da apporti di denaro o altri beni con obbligo di restituzione;
- apporti atipici (di opere o servizi) non restituibili, né iscrivibili nel patrimonio della società finanziata;
- apporti di equity, vale a dire apporti di denaro o beni restituibili, a condizione che la società non abbia registrato perdite.
Attraverso l’emissione degli SFP si rende quindi possibile apportare in società, da parte dei soci o di terzi, anche prestazioni d’opera o di servizi, il cui conferimento sarebbe invece vietato, almeno per le S.p.A., ove retribuito con l’emissione di azioni.
L’unico vincolo imposto dal legislatore è che l’apporto connesso all’emissione dello SFP sia formato da una prestazione avente contenuto e valore economico, e non semplicemente morale o affettivo.
Il ricorso agli SFP potrebbe dunque dare alle imprese una flessibilità finanziaria di gran lunga maggiore rispetto al ricorso al mero debito, in quanto esse potrebbero rimborsare gli SFP in più modalità: dividendi, apporti dei soci, ingresso nel capitale di altri investitori, riacquisto diretto, il tutto in un arco temporale più lungo, che potrebbe anche essere decennale.
Una volta compreso che il ricorso al debito non è quindi strumento sufficiente a risolvere la crisi attuale, non servirebbe stravolgere l’architettura normativa del decreto Liquidità: basterebbe semplicemente prevedere che i finanziamenti bancari erogati alle imprese con garanzie SACE e Fondo PMI, possano essere convertiti in strumenti finanziari partecipativi (SFP), vale a dire in equity, permettendo alle banche di cederli a una o più società veicolo sotto il controllo, magari, della Cassa Depositi e Prestiti.