Concorrenza sleale per violazioni dei segreti commerciali: la disciplina normativa
La tutela giuridica delle informazioni segrete ricorre ormai in maniera ultradecennale nel panorama dottrinale e giurisprudenziale italiano, tanto da aver ormai assunto una valenza di vera e propria sedes materiae autonoma all’interno del diritto industriale contemporaneo.
Essa, d’altra parte, risulta altresì connotata da un precipuo connotato di novità, attribuendosi tale elemento soprattutto ai più recenti interventi normativi, nonché alla accresciuta e mutata sensibilità di imprese e giuristi in relazione alla necessità di tutelare i risultati dell’innovazione, esplorando le aree di intersezione tra diritti d’impresa e diritti individuali.
La gestione dell’impresa, infatti, comprende una pluralità di dimensioni fra loro interrelate e nella cui esplicazione trovano precipuo compimento i cuori propulsivi dell’economia.
Fra questi ultimi un ruolo di assoluto rilievo merita la tutela delle informazioni aziendali riservate e soprattutto gli strumenti attraverso cui assicurarla; tramite il loro esercizio, in particolare, l’imprenditore che se ne avvale può conseguire sia vantaggi di ordine tecnologico che utilità di natura commerciale.
Questa conclusione appare tanto più evidente, se soltanto si ha modo di considerare come il diritto a garantire la riservatezza nei confronti dei terzi sia riscontrabile soltanto nella misura in cui il segreto risulti tutelato ab initio dal dato di cui alla disciplina positiva.
Mentre in passato il know – how riceveva qualche protezione giuridica al di fuori dei mezzi di tutela, della proprietà industriale (come ad esempio nelle norme sul rapporto di lavoro laddove il dipendente infedele che riveli know how della sua impresa ad un concorrente legittima il datore di lavoro ad agire contro di lui per violazione del dover di fedeltà), con l’attuale disciplina speciale si è fatto un passo avanti, sicché le informazioni aziendali segrete che siano fornite di valore economico, ricevono senz’altro la tutela come proprietà industriale.
La base normativa da cui prendere le mosse risulta pertanto quella contenuta nella dicitura “informazioni segrete”, sulla base di quanto previsto dagli art. 98 e 99 del D.lgs. n. 30 del 18 giugno 2005, così come modificati dal d.lgs. 131/2010 (Codice di Proprietà Industriale – CPI), e nonostante l’apparente depistaggio dell’art. 1 del medesimo Codice che invece fa riferimento più genericamente alle c.d. “informazioni aziendali riservate”.
Una siffatta dissociazione di disciplina trova la propria ratio all’interno della nomogenesi che nella legge delega ha portato all’opera di sostanziale consolidamento della materia industrialistica nell’attuale testo del CPI; all’interno di essa, in particolare, si è espressamente inteso conferire incarico al Governo di legiferare nella materia della privativa di diritto industriale, operando una risistemazione degli istituti coinvolti, attingendo alle specifiche fonti dedicate alla loro regolamentazione (Legge Marchi, Legge Invenzioni e Legge Modelli), nonché operando così un riaccorpamento ed una parallela abrogazione, ma senza pretese di sostanziale innovazione di disciplina.
Questa reductio ad unum ha così avuto la funzione ultima di coordinare principi comuni una volta sparsi in fonti eteronome e sulle quali in epoche successive sono intervenute modifiche di ispirazione sovranazionale, o di adeguamento comunitario tutte accomunate dalla volontà di una riscrittura sintetica di regole già esistenti.
La disciplina dei segreti nonché della nozione di Know How, riproponendo quanto già previsto dall’art. 6 bis L.I. è quindi contenuta all’interno dell’attuale art. 98 CPI cit., in base al quale: “(Costituiscono oggetto di tutela) i segreti commerciali. Per segreti commerciali si intendono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico – industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:
a) Siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
b) Abbiano valore economico in quanto segrete;
c) Siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete;
Costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l’autorizzazione dell’immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l’uso di nuove sostanze chimiche”.
La fattispecie prevista dal CPI risulta pertanto connotata dalla presenza di presupposti specifici, la cui allegazione integrale deve essere allegata e provata da parte di chi invochi la relativa tutela, e considerato come l’assenza anche soltanto di uno solo di essi impedisce di qualificare il fatto lesivo considerato nella sua unitarietà, all’interno della fattispecie speciale prevista dal CPI, potendo semmai ed in via sussidiaria, configurarsi una fattispecie di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c.
L’evoluzione giurisprudenziale sul tema in questione ha consentito di ritenere come la carenza del rapporto diretto di concorrenzialità non esclude la sussistenza di una fattispecie di concorrenza sleale; questa forma alternativa di tutela assicura al soggetto danneggiato di agire per la tutela del suo diritto anche qualora l’atto lesivo venga compiuto da un soggetto (detto c.d. terzo interposto), che, pur non possedendo i requisiti soggettivi prescritti (non essendo cioè diretto concorrente del danneggiato) finisca per agire in linea con le determinazioni del concorrente.
Dall’analisi della casistica giurisprudenziale emergono soprattutto 3 categorie di condotte rilevanti sul piano dei rapporti fra la concorrenza sleale per violazione dei segreti commerciali e know – how.
- Anzitutto rileva l’indebito trasferimento di nominativi, elenco clienti e fornitori, banche dati riservate, strategie pianificate di marketing, processi qualificati di analisi di mercato oppure conoscenze e ritrovati di carattere produttivo con conseguente sviamento di clientela a danno del datore di lavoro.
- Incetta del Know How tecnico e commerciale da parte del dipendente o collaboratore deciso a concorrere in maniera autonoma sul mercato.
- Infine, una considerazione a sé merita lo storno di dipendenti e collaboratori finalizzato allo sfruttamento delle informazioni riservate detenute dal concorrente per mezzo della sua forza lavoro.
Nella sua essenza, la disciplina prevista dalla cit. l. CPI postula in primis il rimedio inibitorio come strumento processuale diretto a concretizzare idonee reazioni alla condotta concorrenziale illecita e che si sostanzia nella violazione di un obbligo di non fare gravante su soggetti terzi dalla multiforme appartenenza soggettiva. Il rimedio in esame viene concesso a seguito di un giudizio di merito secondo la disciplina di cui all’art. 124 CPI, od in alternativa all’interno di una procedura d’urgenza ex art. 131 CPI laddove la violazione ricada nei presupposti di cui ai cit. art. 98 e 99 del CPI.
L’art. 2599 invece, postulando un rimedio diretto a sanzionare la slealtà concorrenziale di ipotesi atipiche, continua a prevedere di default una sanzione speculare che, attendendo ad un facere omissivo, può essere parimenti riempita di contenuto al pari dell’inibitoria tipizzata di cui ai cit. art. 124 e 131 CPI.