Sistema transfrontaliero di trasporto dei rifiuti
Nel proscenio internazionale, il trasporto di rifiuti risulta essere una attività significativamente sviluppata, non solo all’interno dello spazio europeo, ma a livello globale.
Con il termine di movimentazione transfrontaliera, si fa riferimento al trasporto di rifiuti prodotti all’interno di un dato Stato e trasferiti verso altro Stato differente da quello di origine, per essere sottoposti a specifici procedimenti tesi (nella quasi totalità dei casi) al recupero della utilità della materia, determinandone la cessazione della qualifica di rifiuto.
Analizziamo sinteticamente -e solo a titolo esemplificativo- il caso del trasporto internazionale dei rifiuti a composizione cellulosica, ovverosia quelli che presentano un viscerale collegamento con la carta et similia.
Prima della introduzione da parte della Cina di specifiche restrizioni sui materiali di cui è ammessa l’introduzione all’interno del Paese (caratteristiche qualitative per finalità di recupero e gestione dei rifiuti) nella terra di Mao venivano raccolte ed utilizzate molte più tonnellate di carta di quelle effettivamente prodotte, circostanza che fece incontastabilmente ritenere come l’eccedenza risultasse dipendere proprio dalle attività di importazione, in conseguenza dei trasporti transfrontalieri.
Concentrando l’analisi sulle attività di spedizione e trasferimento dei rifiuti da un Paese del vecchio continente all’altro si deve anzitutto notare come la prima criticità del sistema europeo sia ravvisabile nella normativa complessa, che ha causato negli anni rilevanti problematiche applicative ed ermeneutiche, non solo alle imprese che operano nel settore del trasporto transfrontaliero di rifiuti, ma altresì agli stessi organismi ed autorità deputati alla vigilanza delle prescrizioni dettate dalla normativa medesima.
Tale complicata normativa -quanto ad interpretazione ed applicazione- è data dal Regolamento UE 1013/2006, che si occupa specificamente delle attività riconducibili al trasporto dei rifiuti, comprendendo altresì una disciplina delle eventuali ipotesi patologiche che possano insorgere in tale contesto. Le criticità legate alla normativa medesima sono peraltro esacerbate da una particolare circostanza che, lungi dall’essere rara od eccezionale, si manifesta frequentemente nell’ambito di tali operazioni di trasporto.
Si tratta, in particolare, della situazione che si verifica quando una data materia o sostanza, qualificata in modo preciso e puntuale all’interno del Paese di produzione, venga poi spedita e recapitata all’interno di un altro Paese che, sia pure appartenente all’Unione Europea, adotta una differente qualificazione della materia o della sostanza ricevuta, contrapponendosi a quella data nel Paese originario.
Tale problematicità è legata naturalisticamente al funzionamento legislativo dell’Unione Europea; in tal senso, accanto alla finalità armonizzante in materia, perseguita dal legislatore europeo tramite la enucleazione di definizione specifiche ed in grado di avvicinare le varie discipline dei Paesi europei, la concretizzazione normativa di tali definizioni viene soventemente lasciata agli interventi specifici dei diversi legislatori nazionali.
Gli organi legislativi europei infatti, ricorrono quasi esclusivamente, in materia di rifiuti ed operazioni concernenti questi ultimi, allo strumento delle direttive che, come già detto, seppur in grado di elaborare nozioni accomunanti le varie legislazioni nazionali, lasciano agli Stati membri ampia libertà e discrezionalità nella adozione e concretizzazione delle nozioni stesse, con possibilità (tutt’altro che teorica) di discrasie tra i diversi ordinamenti (si pensi alla latitudine operativa diversificata del concetto di sottoprodotto od anche la disciplina adottata singolarmente dagli Stati in materia di “end of waste”).
Tornando alla normativa che disciplina il trasporto transfrontaliero di rifiuti, occorre specificare come le procedure prese in considerazione all’interno del regolamento 1013/2006 siano sostanzialmente due:
1) la procedura di informazione (ex art. 18)
2) la procedura di notifica ed autorizzazione (ex artt. 4 ss.).
Come detto precedentemente, talune delle più significative problematiche originanti nell’ambito delle operazioni di trasporto dei rifiuti sono date dalla differente qualificazione che gli Stati membri forniscono a livello legislativo delle materie e sostanze spedite e ricevute. Proprio in tal senso la direttiva europea 2008/98/CE, recepita dal legislatore italiano con il d.lgs. 205/2010 (che ha introdotto all’interno del d.lgs. 152/2006 (TUA) l’art. 184-ter) ha dettato la definizione di “Cessazione della qualifica di rifiuto”.
Tale nozione viene oggi dettata, a livello nazionale, come detto, dall’art. 184-ter che sancisce come un rifiuto cessi di essere tale quando è stato sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici da adottare nel rispetto delle condizioni dettate dallo stesso art. 184-ter
- I) La sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;
- II) Esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto ;
III)La sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
- IV) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana).
All’interno dell’ordinamento italiano si è altresì stabilito come le operazioni di recupero possano semplicemente limitarsi nella verifica del rispetto dei criteri dettati dalla normativa di riferimento.
Proprio in riferimento alla adozione di tali criteri è insorta, all’interno dell’ordinamento italiano, una criticità estremamente rilevante.
E’ stato infatti previsto che i criteri potessero essere adottati sulla base, alternativa e non cumulativa (con predisposizione peraltro di apposita scala gerarchica delle fonti) della disciplina comunitaria ovvero, in mancanza della prima, con uno o più decreti ministeriali.
In ordine alla prima fonte, il legislatore europeo ha dettato regolamenti in materia di acciaio, ferro ed alluminio, nonché di rame e vetro, mentre, a livello nazionale, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato decreti in materia per i combustibili solidi secondari, asfalto e fresato.
In ambito europeo si cercò di elaborare criteri per il recupero proprio della materia cellulosica, per l’appunto: la carta, ma la proposta, andata incontro a aspre e molteplici critiche avanzate da parte degli operatori del settore, venne abbandonata.
All’interno del nostro Paese la difficoltà di coordinamento legislativo è stata ulteriormente aggravata dalla netta contrapposizione tra organo esecutivo, in particolare il dicastero competente, e l’organo giurisdizionale amministrativo di ultima istanza, costituito dal Consiglio di Stat0.
Difatti, a seguito della emanazione, da parte del Ministero dell’ambiente, della nota esplicativa 1 luglio 2016, in cui il dicastero affermava la possibilità che i criteri in materia di “end of waste” fossero dettati, osservando la scala gerarchica delle fonti di seguito riportata:
- da un regolamento comunitario
- dal Ministero stesso
- in ultima istanza dalle Regioni o dagli enti delegati in sede di rilascio delle autorizzazioni
Il Consiglio di Stato è intervenuto smentendo una simile interpretazione ed esplicitando in modo deciso come una simile competenza deve intendersi attribuita esclusivamente allo Stato centrale.
Tale complessità definitoria ed applicativa, legislativamente rilevante e comunque non limitata allo Stato italiano, ha indotto il legislatore europeo all’adozione di una nuova direttiva in materia, identificata come 2018/851/UE, intervenuta al fine di fare maggiore chiarezza in tema di “end of waste” ed armonizzare le legislazioni nazionali.
Accanto alla modifica di talune condizioni, per rendere maggiormente certa la definizione e qualificazione della cessazione della qualifica di rifiuto, si attribuisce alla Commissione Europea il potere di monitorare i procedimenti nazionali di adozione dei criteri in tema e, se necessario, intervenire dettandone a livello europeo, tenendo conto di quelli maggiormente rigorosi e protettivi, per la tutela ambientale, adottati dagli Stati membri.
L’intento è ulteriormente manifesto nella possibilità, contemplata all’interno della direttiva del 2018 ed offerta agli Stati membri, di fissare dei criteri maggiormente dettagliati e predisposti case by case (senza la necessità di una loro comunicazione alla Commissione ma semplicemente rendendoli pubblici tramite i canali istituzionali) in caso di lacuna di tali criteri a livello europeo.
Purtuttavia occorre sottolineare come il semplice potere di monitoraggio e la possibilità comunque di dettare criteri specifici da parte degli Stati membri non paiono soluzioni destinate a risolvere il problema della distonia definitoria tra i diversi Stati in materia di cessazione della qualifica di rifiuto, fortemente avvertita in materia di trasporto, come anzidetto.
L’intervento innovatore del legislatore europeo, concretizzatosi nella direttiva 2018/851/UE ha però lasciato impregiudicato ed inalterato il sistema di norme, dettato dal regolamento 1013/2006, in materia di trasporto transfrontaliero di rifiuti, cui la direttiva fa un mero richiamo al considerando n. 50 ed al nuovo art. 11-bis in esso introdotto.
Il richiamo citato, tuttavia, pare più programmatico che precettivo, sostenendo la necessità di favorire il reimpiego, utilizzo e commercializzazione di materiali riciclati, attuando il sistema di recupero della utilità dei rifiuti stessi e determinando la cessazione di tale qualifica, favorendo un sistema circolare di utilizzo.
Per assicurare il raggiungimento di tali finalità si richiede un intervento da parte degli Stati membri in grado di dare certezza alle definizioni rilevanti in tale ambito, fornendo agli operatori del settore nozioni specifiche per poter efficacemente e correttamente porre in essere le operazioni necessarie agli obiettivi succitati.
All’interno del nostro ordinamento la spedizione transfrontaliera di rifiuti è oggetto di disciplina all’art. 194 del d.lgs. 152/2006 (TUA), che rinvia ai regolamenti europei, agli accordi bilaterali ed al decreto di cui al IV comma dell’articolo stesso.
Fondamentale nella operatività della disciplina è la Convenzione di Basilea, presa in esplicita considerazione dal regolamento europeo in materia di divieto di spedizione di rifiuti per essere sottoposti ad operazioni di smaltimento al di fuori dei Paesi che non sono parte della Convenzione medesima.
Fondamentale è anche la decisione C(2001)107/Final dell’ OCSE che delimita l’ambito dei Paesi nel cui territorio possono essere spediti rifiuti pericolosi prodotti all’interno del territorio europeo, con conseguente divieto di tale spedizione verso Paesi cui la decisione stessa non si applica.
Come detto precedentemente, la principale problematica in materia di trasporto transfrontaliero di rifiuti è data dalla differente qualificazione che una materia può avere nelle legislazioni degli Stati involti dalla procedura.
Come avuto modo di esplicitare, l’assenza di criteri comunitari in materia di “end of waste” rimette la decisione ai legislatori nazionali, con conseguente potenziale intensificazione delle discrasie, non risolte nemmeno dalla direttiva 2018/851/UE, per le ragioni surriportate.
Proprio di tale problematica, però, ha tenuto in debita considerazione il legislatore europeo nella elaborazione del regolamento 1013/2006, dedicando l’art. 28 al “Disaccordo in merito alla classificazione dei rifiuti”, che sancisce esplicitamente che “se le autorità competenti di spedizione e di destinazione non si accordano in merito alla classificazione dei materiali come rifiuti o no, detti materiali sono trattati come rifiuti.
Ciò avviene fatto salvo il diritto del paese di destinazione di trattare i materiali spediti, dopo il loro arrivo, conformemente alla legislazione nazionale, allorché tale legislazione è conforme alla normativa comunitaria o al diritto internazionale”.
Ad una prima lettura, la norma parrebbe porre nel nulla tutte le finalità recentemente fissate dal legislatore europeo in materia di sviluppo di una economia circolare ed un efficiente sistema di recupero della utilità dei rifiuti, facendo prevalere tale definizione in caso di disaccordo.
In realtà, una lettura più approfondita, conforme alla corrente di pensiero oggi maggioritaria, ritiene che la reale prevalenza debba essere attribuita alla seconda parte della norma che intende proprio favorire la qualificazione data dal Paese di destinazione che, conformemente alla legislazione europea ovvero internazionale, ha il potere di classificare i materiali come rifiuti o meno, consentendo in ultima istanza il loro possibile recupero anche in caso di disaccordo.
Pertanto anche la legislazione europea in materia di trasporto transfrontaliero sembra orientato alle comuni ed oramai pacifiche finalità di recupero dei rifiuti e loro cessazione di tale qualifica, per consentirne un importante riutilizzo ed una nuova utilità.
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