Nuovo reato di omessa bonifica nel codice penale
A seguito dell’ entrata in vigore della legge n. 68 del 2015 il nuovo reato di omessa bonifica previsto dall’ art. 452-terdieces c.p. costituisce una fattispecie penale ulteriore rispetto alla figura contravvenzionale contemplata dall’art. 257 TUA.
A quest’ultima ipotesi di omessa bonifica, pertanto, sono state apportate alcune modifiche: l’introduzione di una clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato” e la delimitazione della causa di non punibilità di cui al comma 4 alle sole contravvenzioni in modo da escluderne l’applicabilità ai casi di inquinamento o disastro ambientale con effetti “reversibili”, per i quali invece l’esecuzione delle opere di messa in sicurezza e/o di bonifica si configura, ai sensi della novella dell’art. 452- decies c.p., come forma di ravvedimento operoso con effetto di circostanza attenuante e comporta una riduzione della pena o dalla metà a 2/3 o da 1/3 alla metà.
Tuttavia, fin da subito, in dottrina è stato osservato che appaiono piuttosto problematici i confini tra i rispettivi ambiti di applicazione delle due fattispecie in esame.
L’art. 452-terdecies, che prevede appunto il reato più grave, ha una formulazione tale da risultare indubbiamente una norma di chiusura del sistema sanzionatorio al fine di garantire l’effettività degli obblighi di reintegro, bonifica e ripristino sparsi nella legislazione vigente, qualunque ne sia la matrice (giudiziaria, legislativa o amministrativa), e di implementare quindi la c.d. funzione ripristinatoria del diritto penale dell’ambiente.
Diversamente la contravvenzione di cui all’art. 257 TUA, secondo la lettera della norma, è integrata solo nella più specifica ipotesi di condotta di esecuzione delle opere di bonifica non in confomità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento amministrativo di cui agli artt. 242 e ss TUA.
A tal riguardo, inoltre, appare opportuno fare riferimento all’indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione, la quale, proprio per il reato di omessa bonifica, anche dopo l’entrata in vigore del Titolo VI-bis c.p., ha affermato che “la violazione può ritenersi perfezionata anche in caso di intervento eseguito in difformità da quanto formalmente pianificato, ovvero quando sia impedita la stessa formazione del progetto di bonifica, e quindi la sua realizzazione, attraverso la mancata attuazione del piano di caratterizzazione” e ha comprensibilmente suscitato le critiche della dottrina per interpretazione analogica in malam partem.
Occorre premettere che per le condotte di omessa bonifica contraddistinte dall’elemento soggettivo della colpa non si pone alcun problema, poiché la nuova fattispecie da poco introdotta nel codice penale è un delitto e richiede l’elemento psicologico del dolo.
Risulta comunque evidente il carattere irragionevole del sistema sanzionatorio complessivo: secondo il mero dato letterale delle norme in commento, l’inadempimento dell’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi di cui all’art. 256-bis TUA per chi ha appiccato il fuoco ad alcuni rifiuti abbandonati sul manto stradale viene punito ben più severamente dell’errata e inefficacia esecuzione di opere di bonifica di una vasta area significativamente contaminata, qualora dall’autorità competente sia stato approvato il relativo progetto.
Una parte della dottrina ha cercato di arginare tali conseguenze paradossali sottolineando che, se ricorre uno dei nuovi “ecodelitti” di cui agli art. 452-bis e 452-quater, l’obbligo di bonifica è sicuramente presidiato ai sensi dell’ ipotesi delittuosa in virtù del combinato disposto degli artt. 452-duodecies e 452-terdecies , poiché tale obbligo deriverebbe da un ordine del giudice.
Tuttavia ci sembra di poter supporre che anche in caso di condotte di grave o immane inquinamento ambientale, sanzionabili ai sensi degli artt. 452-bis e 452-quater, possa comunque instaurarsi un procedimento amministrativo di bonifica con approvazione del progetto da parte dell’autorità competente prima della condanna o del patteggiamento del procedimento penale e quindi dell’ordine giudiziale.
In conclusione appare condivisibile la tesi sostenuta da autorevole dottrina e dall’Ufficio del Massimario della Cassazione nella relazione sulla legge n. 68 del 22 maggio 2015: la modifica del testo della norma dell’art. 257 TUA, mediante l’introduzione della clausola di riserva “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”, fa in modo infatti che essa possa operare solo nelle ipotesi di un superamento delle soglie di rischio che non abbia raggiunto (quanto meno) gli estremi dell’inquinamento, ossia che non abbia cagionato una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili dei beni (acque, aria, etc.) elencati dall’art. 452-bis, mentre l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 452-terdecies trova applicazione solo nei casi in cui il fatto produttivo dell’obbligo di ripristino o di bonifica sia da qualificarsi ai sensi di uno dei nuovi delitti ambientali.
Adottando un siffatto indirizzo interpretativo è possibile correggere gli aspetti più irragionevoli della disciplina normativa.
Da ultimo, pare importante far notare che rimane fuori dal catalogo dei reati presupposto il nuovo delitto di omessa bonifica, nonostante vi rientri la contravvenzione prevista dal TUA, con l’evidente rischio di generare qualificazioni giuridiche strumentali dei fatti storici all’interno dei capi d’ imputazione.