La disciplina dei fanghi di depurazione e il Decreto Genova
In Italia i fanghi di depurazione costituiscono un rifiuto ai sensi dell’art. 183 del d.Lgs. n. 152/2006 così come modificato dal d.lgs. 205/2010, e possono essere impiegati a uso agronomico attraverso due diverse attività di recupero, tramite:
- l’utilizzazione agronomica, definita come spandimento del fango trattato nel terreno;
- l’attività di recupero per la produzione di ammendante.
Nel primo caso, il d.lgs. 99/1992 all’art. 2 definisce l’utilizzazione come lo “spandimento sul suolo o qualsiasi altra applicazione sul suolo e nel suolo” dei fanghi di depurazione in agricoltura, e chiarisce che è consentita l’utilizzazione (lett. a) dei fanghi residui derivanti dai processi di depurazione:
- delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili come definiti dalla lettera b), art. 1-quater, legge 8 ottobre 1976, n. 670;
- delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi: tali fanghi devono possedere caratteristiche sostanzialmente non diverse da quelle possedute dai fanghi di cui al punto a.1.;
- delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi, come definiti dalla legge 319/76 e successive modificazioni ed integrazioni; tali fanghi devono essere assimilabili per qualità a quelli di cui al punto a.1. sulla base di quanto disposto nel successivo articolo 3.1.
In pratica, i fanghi oggetto di utilizzazione agronomica sono quelli derivanti dalla depurazione delle acque reflue domestiche, urbane, industriali purché, in quest’ultimo caso, siano assimilabili per qualità a quelle domestiche in ragione dei criteri fissati dall’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 99/1992.
A sua volta, l’art. 3, d.lgs. 99/1992 fissa le condizioni per l’utilizzazione agronomica dei fanghi di depurazione, che sono:
- la loro sottoposizione a trattamento;
- la loro idoneità a produrre un effetto concimante e/o ammendante e correttivo del terreno;
- l’insussistenza di sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale;
- il rispetto dei valori limite dell’allegato IA al d.lgs. 99/1992 per le concentrazioni di uno o più metalli pesanti nel suolo interessato dall’utilizzazione agronomica dei fanghi, e quindi:
- Cadmio 1,5
- Mercurio 1
- Nichel 75
- Piombo 100
- Rame 100
- Zinco 300 (valori limite per mg/kg SS);
- il non superamento dei valori limite per le concentrazioni di metalli pesanti e di altri parametri stabiliti nell’allegato IB al d.lgs. 99/1992, e quindi:
- Cadmio 20
- Mercurio 10
- Nichel 300
- Piombo 750
- Rame 1.000
- Zinco 2.500 (valori limite per mg/kg SS).
Il d.lgs. 75/2010 sui fertilizzanti
Con riguardo, invece, all’attività di recupero per la produzione di ammendante, l’art. 2, comma 1, lett. z), d.lgs. 75/2010 definisce gli ammendanti come “i materiali da aggiungere al suolo in situ, principalmente per conservarne o migliorarne le caratteristiche fisiche o chimiche o l’attività biologica, disgiuntamente o unitamente tra loro, i cui tipi e caratteristiche sono riportati nell’allegato 2”.
L’allegato 2 al d.lgs. 75/2010 prevede che per gli ammendanti, i tenori massimi consentiti in metalli pesanti espressi in mg/kg e riferiti alla sostanza secca sono i seguenti:
- Piombo totale 140
- Cadmio totale 1,5
- Nichel totale 100
- Zinco totale 500
- Rame totale 230
- Mercurio totale 1,5
- Cromo esavalente totale 0,5
Inoltre, sempre l’allegato 2 prescrive che “I fanghi utilizzati per la produzione di ammendante compostato con fanghi, nelle more della revisione del D.Lgs. 99/92, devono rispettare i seguenti limiti: PCB 0,8 mg/kg s.s.”
Il c.d. “decreto Genova” (decreto legge n. 109/2018)
La principale problematica che attualmente interessa l’applicazione di questa disciplina, riguarda l’interpretazione della mancata previsione di valori limite di concentrazione di alcune sostanze, in particolare gli idrocarburi che potrebbero essere presenti nei fanghi. Il decreto legge 109/2018 (c.d. “decreto Genova”, convertito con modificazioni dalla Legge 16 novembre 2018, n. 130) è intervenuto sul tema.
L’attuale art. 41 del decreto legge, così come modificato dall’articolo 1, comma 1, della Legge 16 novembre 2018, n. 130, in sede di conversione ha esplicitato che i limiti di riferimento sono quelli del d.lgs. 99/1992, ad eccezione di alcune sostanze, tra cui gli idrocarburi (C10-C40), il cui parametro di riferimento viene fissato a un limite di ≤ 1.000 (mg/kg tal quale).
In particolare, l’art. 41, D.L. n. 109/2018 in tema di “Disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione”, stabilisce che:
- Al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi di depurazione, nelle more di una revisione organica della normativa di settore, continuano a valere, ai fini dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i limiti dell’Allegato IB del predetto decreto, fatta eccezione per gli idrocarburi (C10-C40), per gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), per le policlorodibenzodiossine e i policlorodibenzofurani (PCDD/PCDF), per i policlorobifenili (PCB), per Toluene, Selenio, Berillio, Arsenico, Cromo totale e Cromo VI, per i quali i limiti sono i seguenti: idrocarburi (C10-C40) =1.000 (mg/kg tal quale), sommatoria degli IPA elencati nella tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, =6 (mg/kg SS), PCDD/PCDF + PCB DL =25 (ng WHO-TEQ/kg SS), PCB =0,8 (mg/kg SS), Toluene =100 (mg/kg SS), Selenio =10 (mg/kg SS), Berillio =2 (mg/kg SS), Arsenico <20 (mg/kg SS), Cromo totale <200 (mg/kg SS) e Cromo VI <2 (mg/kg SS). Per ciò che concerne i parametri PCDD/PCDF + PCB DL viene richiesto il controllo analitico almeno una volta all’anno. Ai fini della presente disposizione, per il parametro idrocarburi C10-C40, il limite di 1000 mg/kg tal quale si intende comunque rispettato se la ricerca dei marker di cancerogenicità fornisce valori inferiori a quelli definiti ai sensi della nota L, contenuta nell’allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, come specificato nel parere dell’Istituto superiore di sanità protocollo n. 36565 del 5 luglio 2006, e successive modificazioni e integrazioni, richiamata nella decisione 955/2014/UE della Commissione del 16 dicembre 2008.
Questo, invece, il testo integrale della nota L richiamata:
«La classificazione come cancerogeno non è necessaria se si può dimostrare che la sostanza contiene meno del 3% di estratto di Dmso secondo la misurazione IP 346 “Determinazione dei policiclici aromatici negli oli di base inutilizzati lubrificanti e nelle frazioni di petrolio senza asfaltene – estrazione di dimetile sulfosside”, Institute of Petroleum, Londra. La presente nota si applica soltanto a talune sostanze composte derivate dal petrolio contenute nella parte 3».
Con l’introduzione di un’eccezione alla disciplina fissata dal d.lgs. 99/1992 con riguardo al parametro “idrocarburi C10-C40”, il cui limite viene individuato in ≤ 1.000 (mg/kg tal quale) o, in caso di superamento di tale valore, in “valori inferiori a quelli definiti ai sensi della nota L, contenuta nell’allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008”, il legislatore italiano pare avere l’intenzione di sbloccare la paralisi degli impianti di depurazione di acque reflue idonei, sotto il profilo dell’art. 2, d.lgs. n. 99/1992, a produrre fanghi destinati all’utilizzo agronomico, paralisi determinatasi soprattutto a seguito della sentenza della Cassazione Penale, Sez. III, 6 giugno 2017, n. 27958, e della sentenza del Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 20 luglio 2018 (ud. 6 aprile 2018), n. 1782.
Con tali sentenze veniva stabilito il principio della non esaustività – perché i limiti di concentrazione di molte sostanze non erano contemplati – della disciplina dettata dal d.lgs. n. 99/1992, e della sua necessaria integrazione con i valori limite di concentrazione di cui alla tabella 1, colonna A, allegato V, parte IV del d.lgs. n. 152/2006 in materia di bonifica dei siti inquinati.
Secondo tale tabella, il limite di idrocarburi leggeri presenti nei siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale non può essere superiore a 10 mg/kg SS, mentre per i siti ad uso commerciale e industriale non può essere superiore a 250 mg/kg; il limite per gli idrocarburi pesanti, invece, viene fissato rispettivamente in 50 mg/kg e 750 mg/kg.
L’applicazione di tali limiti, di fatto, ha portato a inibire totalmente l’attività di recupero in agricoltura dei fanghi di depurazione delle acque reflue urbane. Il tutto, ovviamente, con conseguenti impatti significativi anzitutto per l’ambiente, dal momento che lo smaltimento, in luogo del recupero, si traduce di fatto in una soluzione che disattende i criteri di priorità nella gestione dei rifiuti fissati dall’art. 179, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, che stabilisce come la gestione dei rifiuti debba avvenire nel rispetto della seguente gerarchia: 1) prevenzione; 2) preparazione per il riutilizzo; 3) riciclaggio; 4) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; 5) smaltimento.
In secondo luogo, gli impatti significativi sarebbero a discapito degli utenti finali, sui quali i gestori dei servizi idrici integrati si sono trovati a ribaltare i maggiori costi del servizio.
In questo scenario, dunque, si deve comprendere l’intervento legislativo attuato con l’art. 41 del “decreto Genova” che, sebbene da molti criticato per l’innalzamento eccessivo della soglia degli idrocarburi, di fatto elimina un’interpretazione giurisprudenziale che, a monte, non ha solide basi scientifiche, se si considera che la presenza, a livello analitico, di elevati valori di idrocarburi “totali” (il parametro utilizzato dalle due sentenze sopra citate) non comporta necessariamente la pericolosità dei fanghi stessi. È molto più verosimile, infatti, che elevati valori di idrocarburi siano associati alla componente biologica che li caratterizza.
Si deve richiamare, a tal proposito, quanto affermato dall’Istituto superiore di Sanità in un parere (protocollo 23 giugno 2009, n. 32074, a integrazione del parere 5 luglio 2006, n. 36565) in merito alla classificazione dei rifiuti contenenti idrocarburi, nel quale “si ritiene che la eventuale pericolosità di un rifiuto contenente idrocarburi sia impartita dalla presenza di un idrocarburo di origine minerale e non di origine vegetale”.
Circostanza, questa, che potrebbe spiegare come l’art. 41 del “decreto Genova” non faccia alcuna distinzione tra idrocarburi leggeri e pesanti.
Se la finalità deve essere quella della tutela dei beni dell’ambiente e della salute umana, il riferimento dovrebbe essere, per quanto riguarda gli idrocarburi, la presenza di marker cancerogeni riferiti all’intero rifiuto, in relazione agli idrocarburi policiclici aromatici (cfr. la nota L contenuta nell’allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008, sopra citata) da valutare secondo il parere dell’Istituto superiore di Sanità n. 36565/2006 e successive integrazioni.